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Fare leva sulle emozioni con i media.



Giulia Gorlini (MICRI 12)

Oggi vince chi è capace di fare leva sulle emozioni tramite i media.


A livello nazionale nascono nuovi partiti, a livello globale nascono nuovi attori. Si stanno sviluppando sempre più movimenti populisti nei paesi europei (ma non solo) i quali si dichiarano contro le vecchia politica. Spesso però, tali partiti hanno problemi di inesperienza ed incertezza (un chiaro esempio potrebbe essere la sindaca Raggi a Roma, partiti come il Movimento 5 stelle o Lega Nord). Il successo di questi nuovi partiti è dato dalla necessità del pubblico di  cercare nuove risposte a livello politico. La politica dovrebbe avere un equilibrio tra ascolto e guida invece sembra che oramai questi nuovi partiti (e non solo i nuovi), così come i loro rappresentanti, facciano a gara a chi urla di più. Il vero problema della maggior parte degli attori politici e dei leader è la propensione a pensare “il mio paese deve essere al primo posto”. Questa è la principale ragione per la quale non si trovano dei punti d’accordo. Viene a crearsi circolo vizioso: i cittadini impauriti si affidano ai nuovi partiti ma i nuovi partiti sono comunque altri galli da mettere nel pollaio. Tutti vogliono essere protagonisti. “My country first”. Non è un caso che lo slogan di Trump sia  America first”. Sono convinta che sia proprio questa necessità di voler primeggiare che abbia innescato il meccanismo tramite il quale si stia instaurando un nuovo ordine globale: chi lo sa se i paesi d’Occidente siano ancora disposti ad essere guidati dagli USA.
Nella battaglia Hilary Clinton - Donald Trump, l’attuale presidente statunitense è stato il candidato alla Casa Bianca che ha saputo comunicare in maniera più efficace… o sarebbe meglio dire più furba?. È riuscito a comunicare alla “pancia” delle persone, cavalcando l’onda della paura scaturita da un periodo caratterizzato dall’insicurezza e dalla sfiducia. Ha utilizzato in maniera ottimale i social network (soprattutto Twitter) tramite i quali si è fatto percepire vicino alla gente. Ciò che ha stupito di Donald Trump è la sfacciataggine che trapela dai suoi tweets e la perversa evidenza che il suo successo sia stato dettato dal fatto che “se ne frega”, ed in questa maniera si distingue dagli altri politici così politically correct.
Nonostante abbia saputo utilizzare sapientemente i media, il presidente li definisce non solo come bugiardi, ma anche come malintenzionati. Trump vuole soprattutto attirare l’attenzione, come il famoso concetto “Non importa cosa dicono, l’importante è che si parli di me”. Molte delle sue affermazioni sono inventate o contraddittorie. Nonostante sia un personaggio molto controverso la sua “faccia tosta” ed il suo fiuto per il business lo hanno portato ad essere eletto facendo passare il messaggio “fidatevi di me, lasciatemi fare ciò che voglio, e le cose miglioreranno. Chiunque vi dica il contrario, dice il falso”.
Lo studioso francese di geopolitica Dominique Moisi, ha definito tramite il suo libro La géopolitique de l’émotion una cartografia delle emozioni a livello globale. Attraverso la sua teoria, Moisi sostiene il fatto che gli eventi storici siano stati la causa della creazione nel nostro tempo di tre principali aree relativamente omogenee di emozioni, culture e comportamenti collettivi.
La prima area viene costituita  dall’emozione e la cultura dell’umiliazione per i popoli dell’Islam, emarginati dal processo storico (secondo l’autore dopo la caduta dell’Impero Ottomano). La seconda area corrisponde all’emozione e la cultura della speranza e dello spirito per i popoli dell’Asia, ottimisti verso un futuro che vede il Pacifico come il fulcro dell’espansione produttiva ed economica. La terza ed ultima area presenta l’emozione e la cultura della paura nel tradizionale Occidente in preda a una crisi di identità e spaventato dai recenti avvenimenti (l’autore si focalizza soprattutto sugli attacchi terroristici.
Credo che la teoria di Moisi sia interessante per capire come i politici, attraverso i media, abbiano saputo sapientemente sfruttare la cultura della paura caratterizzante l’Occidente nella comunicazione di massa. Le emozioni sono più potenti delle informazioni ed è fondamentale ricordarsi che ciò che non viene esposto sul palcoscenico mediatico non esiste. Si dovrebbe quindi tenere in considerazione il concetto di costruzione sociale tramite il quale vengono definiti i problemi e poi vengono “venduti” alla massa. I media oggi, così come chi comunica tramite i social, prediligono una emphasis framing ad una equivalence framing. Appurato il fatto che si tenda ad enfatizzare, anche i fatti specifici tendono ad essere manipolati da una selezione tattica degli eventi. Questo accade soprattutto in Italia, dove prevale l’episodic framing a scapito del thematic framing. Vi è dunque la tendenza a condurre l’opinione pubblica ad avere una reazione più istintiva e a sottolineare le responsabilità individuali di chi è coinvolto nella vicenda (conducendo così l’opinione pubblica ad aspettarsi una punizione o un reward nei confronti della persona interessata). Ricordiamoci che i media, attirando l’attenzione su alcune questioni e tralasciandone altre, influenzano gli standard tramite i quali i governi, i presidenti, le politiche, ed i candidati sono giudicati. Sono i media a stabilire l’agenda dell’importanza degli eventi nelle nostre menti.