Guido Colomba
Il "gruppo dei 20" (guidato da Luigi Paganetto) ha messo
le carte in tavola nell'affrontare il tema di "rivitalizzare"
l'Europa. Un "parterre de roi" cui ha partecipato Carlo Cottarelli
(FMI ed ex-incaricato della spending review). La buona notizia è che la
ripresa economica è finalmente arrivata con effetto a ventaglio. I dati Ocse
confermano che, nel manifatturiero, tutto si sta riprendendo. E' una ripresa
ciclica, dopo otto anni di crisi, trainata dalla Cina e dalla Germania. La
cattiva notizia riguarda l'Italia. Qui la politica monetaria espansiva della
Bce (QE) non ha raggiunto l'economia reale. "Le PMI - ha detto Lorenzo
Codogno (London School of Economics) non vanno nemmeno in banca poiché sanno
già che avranno una risposta negativa". Tutto ciò si riflette nella
crescita modesta ("consensus" intorno all'uno per cento) prevista
nel 2017 con un outlook analogo nei prossimi due anni. Né le simulazioni
econometriche aprono nuove speranze: "Ci vorranno venti anni per
raggiungere gli attuali livelli della Germania". Mancano investimenti
adeguati per ribaltare questo trend. Dal 2008 sono scesi gli investimenti
pubblici del 24% e quelli privati del 32%. L'elasticità concessa da Bruxelles
non ha giovato in barba alla politica della ripresa perseguita da quattro
governi di fila (Monti, Letta, Renzi e Gentiloni). Il Paese è paralizzato dai
veti incrociati, da una burocrazia indifferente, da una sfiducia crescente.
In primo piano la sostenibilità del debito pubblico superiore ai 2220
miliardi di euro. L'equilibrio dovrà essere trovato a tassi più alti con
maggiori costi per il servizio del debito ("perdiamo due punti di Pil
rispetto alla Germania" ha detto Riccardo Barbieri). Due i suggerimenti
emersi durante il dibattito tra i "venti"super economisti: (a)
riqualificare la spesa pubblica visto che si spende troppo e male (ad es. le
opere pubbliche in Italia costano 2,2 volte la media europea; (b) attrarre
gli investimenti degli imprenditori esteri e di quelli italiani. La cosa
curiosa è che proprio Barbieri, che guida il think tank del Mef, ha
criticato, in tema di “offerta carente”, le Pmi che "comprano auto
estere" aggravando il gap competitivo (ma anche le istituzioni pubbliche
fanno lo stesso ndr). Nessun riferimento al tema di rilanciare il mercato dei
capitali visto che la notevole ricchezza finanziaria degli italiani viene
investita sull'estero (circa l'80%) sia dai fondi italiani che da quelli
esteri. Il grande successo dei Pir (sono esentati dal capital gain e debbono
investire il 20% nelle PMI)) dimostra le grandi potenzialità da sfruttare.
Qualcuno (Guerrieri) ha ricordato che la spinta allo sviluppo negli Usa viene
tutta dalla domanda interna auspicando per l'Italia una politica attiva del
lavoro che ponga fine al mismatch tra domanda e offerta. Nel sottofondo,
risulta ancora troppo timido il riferimento alla "implementation",
cioè l'esecuzione delle decisioni prese insieme ad una accettazione quasi
fatalista delle severe norme (bail in) Ue approvate ad occhi chiusi senza
alcuna clausola di salvaguardia. Perchè gli economisti non presentano un
"manifesto" di cento righe che spieghi con chiarezza le cose da
fare da consegnare alla classe politica? Vale il ricordo della regina
Elisabetta in visita nel 2008 alla redazione del “The Economist”. Alla
domanda "Perché non avete previsto la crisi?", gli economisti
risposero che non erano in grado di trovare una risposta.
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