Alberto Pasolini Zanelli
Quello che è stato fra l’altro
definito “compleanno nucleare di Kim” è arrivato in una forma fra le meno
attese: invece della carica nucleare minacciata in forma diversa da almeno tre
Paesi, fra cui due Superpotenze, è scoppiata invece come rigurgito di pace, con
una serie di dichiarazioni e promesse di buona volontà da parte di Paesi
coinvolti in un modo o nell’altro nel macabro festival che più o meno tutti
avevano sentito il dovere di prendere come una seria minaccia e che invece in
pochi giorni, quasi in poche ore, hanno fatto a gara per ripudiare e definire
in sostanza impensabile, la formula che fin dall’inizio doveva essere adottata
all’insegna del buon senso ma che invece ha tenuto quasi un anno in allarme i
Paesi in qualche modo coinvolti nella minaccia e, in conseguenza, tutti gli
altri. Lo scontro apocalittico fra Kim Jong un e Donald Trump si è trasformato
in una gara a chi dichiarava per primo il contrario di una guerra. L’ultima
notizia è che i protagonisti della prima tensione nucleare dopo la fine della
Guerra Fredda hanno promesso di incontrarsi, con calma e hanno indicato la
rispettiva vulnerabilità.
E non solo loro. La tensione in
Corea ha sempre avuto ripercussioni, aggravamenti e diminuita urgenza,
coinvolgendo due altre grandi potenze a questo chiamate dalla posizione
geografica. Quella di cui ci si aspettava era la Cina, la più prossima alle due
Coree oltre che a quella del Nord formalmente legata dalla teoria e dalla
pratica del comunismo. Pechino ha dato l’impressione di sentirsi obbligata a
distribuire inviti alla calma ad entrambi i protagonisti della crisi, senza
però impegnarsi a fondo e soprattutto senza prendere impegni che potevano
coinvolgerla in qualche modo in una corsa militare. Analogamente ma con un diverso
colore politico, hanno espresso timori, con qualche scintilla di panico, la
Corea del Sud e il Giappone, due democrazie troppo vicine alla locazione
geografica del pericolo e solo di recente hanno cominciato a trasmettere una
più tranquilla buona volontà. Si sono servite delle Olimpiadi invernali per un
incontro fra i Paesi gemelli e rivali, tenuto incontri sulla linea di
demarcazione scaturita dalla guerra di più di 67 anni fa, i due leader coreani
hanno allacciato amicizie familiari, adesso annunciato un vero e proprio
vertice fra Trump e Kim e rassicurato a gara che nessun pericolo sulla scena
mondiale è in vista, tanto meno urgente.
Promesse non contrastate ma
irrobustite da minacce generiche, sostanziate da annunci di rafforzamento
nucleare. Il penultimo è stato è venuto dalla Casa Bianca, con una esibizione
di forza chiaramente diretta però a sottolineare le intenzioni pacifiche.
Descrizioni di guerre possibili allo scopo di raccomandare e promettere la
pace. L’ultimo, il solo completamente a sorpresa, è venuto da una Superpotenza
che è anche una vicina di casa e finora si era impegnata a tenersi fuori da
promesse e minacce. Anche Putin, quasi in contemporanea con Trump, ha
proclamato l’ulteriore rafforzamento dell’arsenale nucleare russo, descrivendolo
come quasi gemello di quello americano e quindi non solo come una promessa di
pace, ma anche con un monito indiretto ai piccoli Paesi (cioè la Corea del
Nord) che avevano per quasi un anno propagandato il proprio potere nucleare. Putin
ha colto l’occasione per ricucire le tensioni suscitate da certi scambi di voci
marziali con l’America.