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Disastro Terra, prossimo venturo

(di Nicola Facciolini)


Se non fossero ammaestrati dalle catastrofi, gli uomini vivrebbero senza pensiero della possibilità di un futuro diverso dal presente, in un oblio delle cose da cui la loro situazione dipende, cose che attualmente operano al di fuori del loro limitato orizzonte”, osserva Hegel. I cambiamenti climatici “causati dall’Uomo” pare siano “molto probabilmente la causa dominante dell’innalzamento del livello del mare dal 1970”. Secondo il Rapporto IPCC, il livello medio globale del mare è aumentato di 1,4 millimetri all’anno dal 1990. Quindi è salito a 2,1 millimetri all’anno dal 1970-2015 e poi di 3,6 millimetri all’anno dal 2005-2015, circa 2,5 volte più rapidamente del tasso registrato nel corso del XX Secolo. La recente accelerazione è quasi sicuramente dovuta al crescente scioglimento delle calotte di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide, il cui disgelo totale comporterebbe un aumento medio del livello del mare di 66 metri. In Antartide, il tasso di perdita di ghiaccio è triplicato nel decennio 2007-2016, rispetto a quello precedente. Analogamente, la perdita di ghiaccio dalla Groenlandia è raddoppiata rispetto al 1997-2006. C’è grande accordo sul fatto che i cambiamenti climatici possano modificare drasticamente le dimensioni e la direzione dei flussi migratori, ma la Scienza ha un basso livello fiducia nelle proiezioni quantitative delle migrazioni in risposta all’innalzamento del livello del mare e agli estremi del livello del mare. Si prevedono un Oceano Atlantico e un Mar Mediterraneo sempre più salati, tropicali e subtropicali, in contrasto con un Pacifico e un Artico polare sempre più freschi e dolci; un calo della “produttività primaria netta”, il tasso a cui le piante e le alghe producono materiali organici per la fotosintesi, del 4-11% in uno scenario ad alte emissioni, con una conseguente diminuzione di circa il 15% della massa totale di animali marini entro la fine del XXI Secolo e un calo del 25,5% del “potenziale di cattura massimo” della pesca. Piaccia o meno, sono le “verità” della Scienza nell’era dell’Antropocene. Il nuovo Rapporto IPCC di 900 pagine delinea i danni che il cambiamento climatico ha già provocato agli oceani e ai ghiacci della Terra. Lo “Special Report on the Ocean and Criosphere in a Changing Climate” è frutto di un lavoro gigantesco compiuto da 107 scienziati che hanno considerato 6.981 pubblicazioni scientifiche e

31.176 commenti provenienti da revisori e governi di 80 Nazioni.

Rispetto ai precedenti rapporti IPCC, aumenta il livello di certezza sugli effetti che subiranno gli oceani in base agli scenari emissivi.

Trova così una conferma la proiezione al 2100 della riduzione di un terzo del ghiaccio mondiale, di quasi tutto il ghiaccio alpino e dell’innalzamento del livello del mare fino a 1 metro se le emissioni continuassero al ritmo attuale. Oltre agli aspetti naturali ed ecologici, il Rapporto considera gli impatti su pesca, turismo, economia, salute, cultura e credenze locali. Il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica: i dati sembrano confermare con più modelli la conclusione del V Rapporto IPCC (2013) secondo cui “è molto improbabile che l’AMOC collassi nel ventunesimo secolo in risposta all’aumento delle concentrazioni di gas serra”. A seconda dei modelli utilizzati da IPCC, la corrente potrebbe indebolirsi per la fine di questo secolo dell’11% o del 32%. Un modello mostra addirittura “un collasso della corrente (una diminuzione superiore all’80% rispetto all’attuale) prima della fine del secolo per lo scenario RCP8.5 (cioè quello a più alte emissioni)”. In realtà, i modelli suggeriscono “che il collasso del capovolgimento meridionale della circolazione atlantica può essere evitato a lungo termine attraverso la mitigazione”. Anche se la minaccia del venir meno di questa corrente è remota, il suo indebolimento genererà comunque impatti importanti su larga scala sui sistemi naturali e umani. Questi includono “un raffreddamento dell’Atlantico settentrionale, un riscaldamento dell’Atlantico meridionale, una minore evaporazione e, quindi, precipitazioni sull’Atlantico settentrionale, e uno spostamento della zona di convergenza intertropicale, la grande area di bassa pressione che circonda la Terra vicino all’Equatore. Anche il permafrost sottomarino dell’Oceano Artico e meridionale, un immenso serbatoio di Idrogeno (CH4) e Carbonio, è in disgelo, con aumenti di temperatura fino a tre gradi Celsius negli ultimi 30 anni. Il recente riscaldamento climatico è stato collegato all’aumento dell’attività degli incendi nelle regioni delle foreste boreali dell’Alaska e del Canada occidentale. Sulla base delle immagini satellitari, si stima che dal 1997 al 2011 siano stati bruciati 80.000 km2 di superficie boreale all’anno. Il Rapporto IPCC è stato pubblicato lo stesso giorno in cui si annunciava che l’estensione del ghiaccio artico aveva raggiunto i 4,15 milioni di chilometri quadrati, secondo solo al minimo storico di 3,39 milioni di km2 nel 2012. Come risulta dalle misure satellitari, l’estensione dei ghiacci dell’Artico è diminuita costantemente a partire dal 1979, con un calo di 83.000 km2 all’anno tra il 1979 e il 2017, pari al 13% per decennio rispetto alla media 1981-2010. Diminuzioni più contenute ma crescenti si manifestano nel tardo inverno. Senza adattamento e resilienza da gestire insieme alle Nazioni Unite con un servizio di Protezione Civile (e quindi Soccorso) su scala planetaria, l’innalzamento del livello del mare, la crescita demografica e la subsidenza potrebbero determinare l’inondazione di

136 principali città costiere con danni da 6 miliardi di dollari all’anno fino a 1.000 miliardi di dollari entro il 2050. Le megalopoli costiere con oltre 10 milioni di abitanti e situate in aree a meno di

10 metri sopra il livello del mare includono New York, Tokyo, Giacarta, Mumbai, Shanghai, Lagos e Il Cairo che potrebbero finire sott’acqua! Gli impatti di ulteriori cambiamenti nei cicloni tropicali ed extra-tropicali, le ondate di calore marino, gli eventi estremi di El Niño e La Niña e altri, supereranno i limiti della resilienza e dell’adattamento degli ecosistemi e delle persone, portando a perdite e danni inevitabili. È difficile tuttavia identificare una strategia coerente che consideri i passi da percorrere dal punto di vista tecnologico, energetico, economico e societario. La “green economy”

non basta. L’Energia Termonucleare sembra essere la panacea di tutti i mali. Ci troviamo in un momento critico, in cui abbiamo bisogno sia dell’etica della convinzione sia dell’etica della responsabilità, le due virtù che secondo Max Weber dovrebbe avere il buon Politico in Democrazia. Purtroppo oggi, soprattutto in Italia, sembrano largamente dominare le altre caratteristiche che il “politico” non dovrebbe possedere: un eccesso di soggettività, passività e soggezione unite all’irresponsabilità che si coniugano nel demagogo, oggi diremmo nell’oligarca finto “sovranista”. Per etica della convinzione Weber intende il fatto di tenere sempre presenti i fini ultimi (ideali) delle proprie azioni. Tuttavia, senza un riferimento alla responsabilità e alle conseguenze delle proprie azioni, questo atteggiamento rischia di essere sterile e controproducente. Secondo Weber la linea di confine tra le due etiche è sottile e sfumata. Oggi non possiamo permetterci il massimalismo ambientale, ma al tempo stesso un’etica della responsabilità che proceda per piccoli passi e costanti compromessi può essere del tutto inadeguata alla sfida del cambiamento climatico e del degrado ambientale in Italia, in Europa e nel Mondo. L’Italia ha recentemente proposto un ideale “Piano Energetico Nazionale” ispirato alle linee guida Europee che ha comunque sollevato un certo dibattito. Posto che il cambiamento climatico si combatte principalmente attraverso le scelte energetiche, limitando l’uso di combustibili fossili e promuovendo le fonti rinnovabili e virtualmente infinite a “impatto zero” come l’energia nucleare rilasciata dall’elemento Torio90 in centrali nucleari intrinsecamente sicure edificabili in pochi anni, la Scienza vuole tuttavia richiamare l’attenzione su modalità di intervento più ampie, secondo il principio dei benefici condivisi, che possono contribuire in modo importante alla mitigazione del cambiamento climatico che interessa anche la Santa Romana Chiesa di Papa Francesco, come dimostra il Sinodo sull’Amazzonia attualmente in corso. Il metano è un gas serra 72 volte più potente dell’anidride carbonica.