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È stata una densa domenica elettorale


Alberto Pasolini Zanelli

È stata una densa domenica elettorale, un po’ in tutti i continenti, con risultati contrastanti soprattutto sul piano programmatico e ideologico. Ma l’impressione diffusa in America è che il principale vincitore non sia uscito dalle urne in Argentina, Germania o Italia bensì da un tunnel in Irak. Quello di cui era rimasto prigioniero sul punto di essere catturato dagli americani. Tanto da decidere di togliersi la vita. Un tocco ulteriore di atrocità, il fatto che nello scoppio deciso da “papà” (colui che per diversi anni era stato, o almeno si era proclamato, reggitore di uno Stato Islamico conquistato nel più clamoroso e sanguinoso fra i capitoli della Primavera Araba) sono deceduti anche tre dei suoi figli che lo avevano accompagnato nella disperata fuga. Il suo nome era al Baghdadi.

Quello Stato, l’Isis, era scaduto da un pezzo sotto le pressioni militari di mezzo mondo, ma era durato con conseguenze tragiche per i suoi sudditi e nonostante che quello stesso mezzo mondo avesse cercato di distruggerlo, soprattutto con le pressioni militari. Ci si erano messi un po’ tutti, a cominciare dai “confinanti” sostenuti dall’America, inclusa la Turchia ma anche i dissidenti curdi, appoggiati da formazioni militari iraniane e, forse più efficacemente di tutti, dalla Russia.

Il simbolo della caduta di al Baghdadi e dell’Isis era stata la riconquista di Raqqa: l’autoproclamato presidente era dovuto fuggire. Negli anni successivi le strategie internazionali si erano modificate ed erano anzi venuti in primo piano gli scontri fra i “liberatori” che negli ultimi giorni si era soprattutto acceso fra curdi e turchi con la conseguenza sorprendente della decisione americana di ritirarsi dal conflitto. Che è durata un paio di giorni. Poi dalla Casa Bianca è partito l’ordine opposto. Aiutati, pare, sul piano logistico dalla Russia, i marines si sono buttati alla caccia di al Baghdadi. L’hanno scovato, gli si sono buttati addosso. Avevano l’ordine di ucciderlo. A lui, nella sua disperazione, non rimaneva che quel tunnel. Che, però, era bloccato e allora lui ha fatto saltare tutto, trascinando i suoi bambini verso la morte.

Trump non ha aspettato un minuto per proclamarsi vincitore e non senza qualche motivo. La vittoria lo ha abbracciato proprio in piena campagna elettorale e in mezzo alle crescenti difficoltà per confermarsi presidente e continuare a risiedere alla Casa Bianca. Particolarmente significativo e da lui subito sottolineato, è il paragone con una impresa molto simile condotta dal suo predecessore Barack Obama. Il vero leader di questo schieramento oltranzista e sanguinario, un ideologo senza cariche effettive, lo scovarono in una casetta in Afghanistan e lo uccisero. Era molto famoso, al punto che per scongiurare la possibilità di una sua “resurrezione”, anche solo propagandistica, ne buttarono il cadavere in mare da una nave. L’Isis era sepolta ma non morta, anche se ormai il suo territorio era ridotto a un pugno di deserto al confine fra la Siria e la Turchia e la caccia suoi killer da lungo non era più un compito urgente. Tranne, forse, per Donald Trump, l’unico che aveva da guadagnare da essere riportato al livello di Obama e da questo, come sperava, sarebbe risalito nelle simpatie (anche e soprattutto obbligatorie) del mondo e, cosa più importante e urgente, delle simpatie dei futuri elettori.

Fino a questo momento i sondaggi sulle intenzioni di voto hanno dato risultati alterni, indicando il margine di una leggera opinione ostile a Trump come persona, ma bilanciata dalla crescente divisione all’interno del Partito democratico, che ancor oggi ha più di venti candidati alla Casa Bianca divisi fra i “moderati” detti anche “continuisti” delle tradizioni e delle iniziative degli ultimi loro inquilini alla Casa Bianca, contrapposti alla compattezza (invidiabile anche se non interamente spontanea) in campo repubblicano. Le vicende recenti nel Medio Oriente hanno prima moltiplicato le critiche alla “linea” contraddittoria di questo presidente su cui incombe da molti mesi l’incubo dell’impeachment che però ha minime probabilità di successo, perché dovrebbe essere approvato, dopo un voto della Camera democratica, dal Senato tuttora repubblicano. In una rissa fra reggimenti di funzionari e di avvocati, i timori per Trump stavano già lentamente riducendosi. Adesso è arrivata la nuova tragedia in Medio Oriente, di cui l’uomo della Casa Bianca non ha esitato ad assumersi il pieno merito, a sentirsi a livello di Barack Obama in questo e continuando a definirsi superiore in quasi tutti gli altri campi. Terrorista che muore, statista che risorge?

Pasolini.zanelli@gmail.com