La Cina e la lunga marcia per rilanciare l’euro sul dollaro
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
I grandi cambiamenti dell’economia globale non stanno ancora mettendo in gioco il ruolo del dollaro nel mondo. Vi sono tuttavia segnali per cui, negli ultimi anni, la moneta americana fatica a mantenere l’ “esorbitante privilegio” che le si attribuiva.
In primo luogo sono mutati i rapporti di forza: nell’immediato dopoguerra gli Stati Uniti rappresentavano il 45% del commercio mondiale mentre ora sono sotto la soglia del 15%, con un deficit della bilancia valutaria di oltre 1000 miliardi di dollari. Un deficit che non accenna a calare nonostante le politiche protettive del Presidente Trump.
Tutto questo non significa che ci si trovi di fronte a un radicale cambiamento del sistema monetario internazionale, non si può tuttavia trascurare la crescente insicurezza nei confronti del dollaro dovuta non solo all’imprevedibilità della politica americana, ma anche al fatto che le sanzioni che gli Stati Uniti applicano nei confronti dei paesi con i quali hanno tensioni politiche si fondano in modo crescente su vincoli e limitazioni all’uso del dollaro come mezzo di regolazione finanziaria.
Il primo passo verso la diversificazione delle riserve rispetto al dollaro si è, negli scorsi mesi, tradotto in un generale e diffuso aumento degli acquisti di oro. Lo hanno fatto la quasi totalità dei paesi, dall’India alla Turchia fino alla maggioranza degli europei. Per non parlare della Cina che, negli ultimi mesi, ha acquistato 100 tonnellate di oro. Non si tratta di una rivoluzione, ma della dimostrazione di un crescente malessere nei confronti di chi svolge il ruolo maggiore nella gestione del sistema monetario internazionale.
Allo stesso tempo la Cina sta alleggerendo progressivamente la quantità di buoni del tesoro americani nel proprio portafoglio, mentre la Russia ha ormai completato la vendita di tali titoli in proprio possesso, acquistando massicciamente valuta cinese e aumentando la quota di euro, che raggiunge ora quasi il 40% delle sue riserve valutarie.
Riguardo al comportamento della Russia desta un’attenzione ancora maggiore la decisione di Rosneft, un’azienda gigante che produce 2,5 milioni di barili di petrolio al giorno, di utilizzare l’euro e non più il dollaro nelle sue transazioni internazionali.
Anche se a livello mondiale le riserve in dollari rimangono superiori al 60% del totale, mentre l’euro si ferma al 20%, negli ultimi due anni le riserve in dollari nei forzieri delle banche centrali sono calate del 4%.
Non si tratta ancora di un’inversione dei rapporti di forza ma i movimenti in corso sono sufficienti per indicare una tendenza verso nuovi equilibri.
È infatti opportuno sottolineare che per la maggioranza dei responsabili della gestione delle riserve monetarie la diversificazione del rischio costituisce un obiettivo fondamentale e che, se questo obiettivo non è stato ancora raggiunto, lo si deve soprattutto alle mancanze di noi europei.
Non posso infatti dimenticare come negli incontri bilaterali fra Cina e Unione Europea, negli anni in cui si stava costruendo l’euro, il Presidente cinese ripeteva che la strategia del suo paese era quella di avere in portafoglio dollari e euro in pari quantità. Questo avrebbe preparato il passaggio da un sistema monopolare ad un sistema multipolare, nel quale “vi sarebbe stato un posto d’onore anche per il renminbi “. Egli vedeva infatti nell’affermazione dell’euro un riequilibrio del mondo e, di conseguenza, un maggiore spazio per la Cina. La crisi economica e le divisioni europee hanno impedito di mettere in atto questo processo che, anche se con i limiti che abbiamo illustrato, ritorna tuttavia ad essere ipotizzabile per effetto della nuova politica americana sull’uso del dollaro.
All’euro, dato per moribondo, si aprono invece nuove prospettive, anche perché esso rimane ancora l’unica robusta alternativa al dollaro, data la minore rilevanza della sterlina e dello yen giapponese e data la difficoltà del rublo o del renminbi di ricoprire un ruolo internazionale, in quanto ancora gestiti direttamente dalle autorità russe o cinesi.
In conseguenza di questi eventi si è aperto uno spazio che prima non esisteva. Per mettere in atto il passaggio verso il multipolarismo monetario occorre ovviamente un’Europa meno litigiosa, più solidale e finalmente capace di costruire, anche se con la necessaria lentezza, una politica economica sufficientemente forte da avere rilevanza internazionale.
Penso tuttavia che la nomina della Signora Lagarde alla Presidenza della Banca Centrale Europea abbia un riflesso importante per raggiungere questo obiettivo. Ella infatti, nel suo precedente ruolo di responsabile del Fondo Monetario Internazionale, ha molto operato per allargare la cooperazione monetaria internazionale, ammettendo la moneta cinese a fare parte del paniere delle valute che partecipano ai così detti Diritti Speciali di Prelievo, anche se non ne possedeva tutti i requisiti necessari.
Non dimentichiamo inoltre che la Signora Lagarde appartiene alla Francia, al Paese cioè che, da de Gaulle a Giscard d’Estaing, ha sempre avuto come obiettivo il contenimento “dell’esorbitante privilegio” del dollaro. Tenendo però sempre presente che, per raggiungere questo contenimento, occorreranno molti anni e molta saggezza politica.