Alberto Pasolini Zanelli
Negli ultimi due giorni Donald Trump ha avuto meno di mezz’ora in tutto per rilassarsi: durante il colloquio con il presidente italiano, in visita di cortesia e dunque trattato cortesemente, non c’erano problemi sul tavolino e quindi c’era lo spazio per uno scambio di sorrisi. Il resto del tempo Trump lo ha vissuto fra una tempesta e l’altra, una fase meteorologica destinata a continua. Centrata sul Medio Oriente, ma che soffia quasi altrettanto su Washington. Molto di quello che egli ha deciso con una rapidità universalmente definita “frettolosa”, ha raccolto dubbi e, soprattutto, proteste. In America, da parte degli ambienti militari, dell’area diplomatica e – ancora di più – nell’arena politica.
È successo di rado, anzi, probabilmente mai, che un presidente degli Stati Uniti ordinasse a forze di combattimento Usa di ritirarsi ex abrupto da un fronte, lasciando libero il campo di battaglia a quello che ieri era il nemico. Ancora più raro, se possibile, che l’aviazione ricevesse l’ordine di distruggere immediatamente tutte le strutture che alimentavano lo sforzo bellico. Che un’alleanza, quella con la Turchia, fosse “sospesa” durante un’operazione ma anche rispetto a una “fraternità di armi” lunga e fedele fin quasi dalla fondazione della Nato: accompagnata, però, da una raffica di parole tipo l’invito al premier di Ankara a “non fare lo sciocco”. Un linguaggio esteso, poi, al presidente della Camera Nancy Pelosi che, durante una seduta di ratifica, si è sentita qualificare in faccia di “politica di terzo grado” e che ha restituito al presidente una diagnosi di confusione mentale, seguita dall’abbandono della seduta non solo della leader ma di quasi tutti gli altri partecipanti. Il “cortese” dibattito è proseguito a distanza, per esempio con l’invito del senatore repubblicano Mitch McConnell ai colleghi a “prepararsi ad avviare la procedura dell’impeachmental più presto”.
Il coro di critiche non ha mancato di estendersi a previsioni politico-militari. Il ritiro istantaneo delle forze americane ha già causato l’avanzata di quelle turche in territorio siriano, violando la frontiera conseguente a “fusione” dell’esercito agli ordini del presidente di Damasco Assad, da un decennio bersaglio di sanzioni e iniziative di guerra da parte di Washington. Assad, considerato un “criminale di guerra”, anche se adesso pure del leader dei curdi si dice che non sia “un santo”.
Epiteti tutto sommato moderati, rispetto alle accuse che si moltiplicano contro gli esponenti del governo federale particolarmente “vicini” a Trump. Cominciando dal Segretario di Stato Mike Pompeo, definito un “grosso bugiardo”. E ancora di più di Rudolph Giuliani (che è l’avvocato personale del presidente) che “viola le regole sistematicamente, appropriandosi di poteri non suoi per servire gli interessi di Trump”: per esempio, riguardo l’ambasciatore americano a Kiev, destituito su pressione di due clienti privati di Giuliani, uno dei quali avrebbe pagato 500mila dollari, ufficialmente da parte di un finanziere russo e dunque per “interessi stranieri”. Ma soprattutto Giuliani è accusato di violare le leggi nell’interesse di Trump.
La raffica di accuse contro esponenti repubblicani non risparmia la bufera in corso in casa democratica, soprattutto dopo l’ultimo dibattito fra i dodici aspiranti alla candidatura per la Casa Bianca, fra i quali l’ex presidente Joe Biden, per certe attività di suo figlio. I sondaggi vedono in testa alla gara tre concorrente con forza uguale: lo stesso Biden, ex braccio destro di Obama e considerato un “moderato” e i due esponenti dell’“estrema” sinistra, il senatore Bernie Sanders e la sua collega Elizabeth Warren, che propongono un forte aumento delle tasse per i più ricchi e notevoli sconti sulle spese mediche per i meno abbienti. C’è chi li accusa di essere “socialisti”; qualcuno, addirittura, “filocomunisti”: accrescendo ulteriormente le tensioni di questa campagna elettorale.
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