Alberto Pasolini
Zanelli
Sono state le
ventiquattro ore più tese, chiassose e allarmanti della storia americana
recente, almeno dal giorno in cui si annunciò la fine della Guerra Fredda. Quello
che è scoppiato ora, non del tutto inatteso ma senza precedenti nelle rapidità,
l’ampiezza anche geografica e l’urgenza esibita un po’ da tutti i protagonisti.
Quando è calato il sole sullo Stato più lontano da Washington, la California,
le sirene di allarme non avevano trovato una tregua. In poche ore si è
registrata la Casa Bianca in sciopero contro Congresso e le esigenze giuridiche.
Ed è spuntata perfino una voce senza precedenti, anche se di scarsissima
credibilità.
Ad aprire le
ostilità è stato, come spesso accade, il Presidente. Con chiarezza nella
sorpresa, Donald Trump ha, con un gesto senza precedenti, posto il suo veto al
procedimento di impeachment che sarebbe sul punto di cominciare alla
Camera. Pochi minuti dopo ha risposto Nancy Pelosi, presidente del Parlamento,
con altrettanta purezza nella sostanza e nei termini. Trump aveva annunciato
che “non accetterà di cooperare” con il motivo che si tratta di un test che “viola
la Costituzione, la regola della legge ed ogni precedente”. Questo perché, ha
sostenuto, gli sarebbero stati negati i diritti e i privilegi insiti nella sua
carica e questo perché “i democratici intenderebbero non solo influenzare le
elezioni in calendario per il novembre 2020, ma anche cancellare l’esito delle
elezioni precedenti, quelle del 2016”, che lo condussero alla Casa Bianca. Una “promessa”
con ancor meno precedenti: dei due processi di impeachment di questo
secolo, nessuno pretendeva di cancellare l’elezione di Richard Nixon o quella
di Bill Clinton: il primo si dimise spontaneamente, il secondo fu assolto e
rimase alla Casa Bianca fino alla conclusione del suo termine.
Nel caso di Trump
egli è candidato per un secondo mandato ma dovrebbe sottoporsi a un processo da
cui ha non poche probabilità di uscire “innocente”, rimandando un giudizio
degli elettori circa una sua probabile nuova candidatura. È estremamente
difficile conciliare le due richieste, l’una e l’altra presentate come una
minaccia di violazione della Costituzione. Il regolamento prevede dibattito e
voto alla Camera (a maggioranza democratica) e sentenza al Senato (a maggioranza
repubblicana). Si profila per ora una reciproca “squalifica”, qualcosa che
rientra in una crisi costituzionale senza precedenti. Non c’è neanche la
possibilità di un “arbitraggio” degli elettori, che al massimo potranno
esprimere le loro preferenze. Negli ultimi giorni, soprattutto ore, si è registrato
un forte spostamento degli umori: da ieri sera la maggioranza degli americani
(sommati repubblicani e democratici) desidera che il procedimento di impeachment
si apra e presto e il 60 per cento è convinto che Trump “viola i principii morali
del governo”. Una situazione che, a prescindere dal risultato, creerebbe
contrapposizioni di misura senza precedenti.
Soprattutto in un
momento come questo in cui le crisi si accumulano su quasi tutti i fronti della
Superpotenza sommando e incrociando i suoi imbarazzi. Anche in questo caso ad “aprire
le ostilità” sono stati annunci e decisioni di Trump, soprattutto nel Medio
Oriente. L’ordine di ritiro dalla Siria del contingente americano potrebbe
riaprire un conflitto decennale ed è contestato in termini senza precedenti dai
comandi militari Usa e anche dal Dipartimento di Stato, che teme lo scoppio di
una nuova guerra dello stesso teatro, soprattutto a causa di un’annunciata offensiva
dei turchi contro i secessionisti curdi, aggrappati a un settore grazie alla
protezione armata Usa. Il ritiro degli americani cambierebbe gli equilibri
anche in altri teatri del Medio Oriente, proprio nel momento in cui il governo
di Washington, in un altro gesto a sorpresa, ha annunciato e denunciato la
ricostituzione in Russia di un meccanismo della Guerra Fredda, cioè una sezione
militare del Kgb, dedicato alle aperture di crisi, in tutta l’Asia ma anche in
Europa.
Una denuncia in
totale contraddizione con recentissime affermazioni della Casa Bianca e
frequenti gesti di “cooperazione fra Mosca e Washington che sono un problema interno
dal momento che i “capitoli” di impeachment si aprono proprio per i sospetti
di una “trama” di Putin nelle precedenti elezioni presidenziali americane, mirate
ad aiutare Trump a conquistare la Casa Bianca. Una teoria difficile da
comprovare, ma rilanciata in questi giorni ed ore. L’ultimo, un esponente del
Pentagono, indignato anche dalle contraddizioni della Casa Bianca in una crisi
in Ucraina che ha definito “pazzesca”, “allarmante”, la “linea” di Trump, “totalmente
priva di indizi e di credibilità”. Un tema di più per l’atteso scontro fra il
presidente repubblicano e i democratici guidati dal leader della Camera Nancy
Pelosi, che si sono scambiati messaggi. Lui a lei, “complotto per cancellare i
risultati delle urne alle elezioni”, lei a lui: “un procedimento contrario alla
Costituzione e a tutti i precedenti”.