Guido Colomba
Non c’è solo il problema del manifatturiero dove i posti di
lavoro perduti non sono stati rimpiazzati. Tre milioni solo in Italia. Lo
stesso problema si verifica anche nel settore terziario. Steve Jobs,
considerato l’uomo più ricco del mondo grazie alla globalizzazione
informatica, ha posto il problema: “Anche i robot devono pagare le tasse come
i lavoratori che hanno sostituito”. Al contrario, Zuckerberg difende la
globalizzazione “senza regole” poiché gli consente di assumere i “talenti” da
tutto il mondo, accumulare enormi profitti e poi scegliere il posto dove
pagare meno tasse. Purtroppo, i finti “liberisti” e i finti “riformisti”
approvano questo pensiero senza rendersi conto che la crisi in cui si dibatte
l’Occidente nasce proprio da questa asimmetria oramai sotto gli occhi di
tutti. Il mito della California, la “terra del futuro”, è crollato. Con un
corollario ancora più viscido: chi accumula ricchezze plurimiliardarie,
pagando meno tasse, finge di essere un mecenate distribuendo briciole di
beneficienza. Gli economisti italiani, Albert Alesina e Francesco Giavazzi
(entrambi insegnano nelle università Usa),hanno sollevato il coperchio
denunciando “il fallimento della regolamentazione dei mercati finanziari”.
Nemmeno ai tempi della prima rivoluzione industriale si è verificato questo
supersfruttamento da parte del club degli oligopolisti. L’altra faccia della
medaglia è costituita dalla opacità dei banchieri centrali che, negli ultimi
venti anni, hanno finanziato questo sistema. Lo dimostra il fallimento della
politica di QE da parte della Bce visto che solo le briciole sono arrivate
all’economia reale (in Italia il credito alle imprese continua a diminuire
-re: Banca d’Italia). Trump ha messo a nudo questa situazione tanto che il
vicepresidente della Commissione Finanze ha inviato una lettera a Janet
Yellen, presidente della Fed, dove si contestano le “modalità opache e non
trasparenti” delle decisioni internazionali (es. Basilea-3) prese dai
banchieri centrali che però divengono a cascata vincolanti per i cittadini
spesso con risultati devastanti per le fasce più deboli. In Europa il
pasticcio è ancora più grave. Solo ora si parla apertamente dell’anomalia che
accompagna l’euro: la Bce acquista i titoli di stato sul secondario “per
conto” delle rispettive banche centrali nazionali. Una moneta unica
presuppone un Tesoro unico che emette debito che possa essere comprato
direttamente dalla Banca centrale europea. Al contrario, se l’Italia uscisse
dall’euro (ma dovrebbe recedere anche dalla Ue come sta facendo Londra), la
Banca d’Italia dovrebbe rimborsare alla BCE i Btp acquistati sul secondario
(sono vietati gli acquisti di nuove emissioni poiché diverrebbero aiuti di
stato). Una anomalia che si associa a quella dello “spread” rispetto al bund
tedesco. In un sistema governato da una moneta comune, lo spread non dovrebbe
esistere. Di fatto, come ricorda l’economista Roberto Sommella, lo spread
(tornato a quota 190) rappresenta il costo in più che le imprese debbono
pagare. Lo stesso vale per la Francia, la Spagna, il Portogallo e così via.
Ecco perché alcuni invocano il ritorno allo SME, con bande di oscillazione
per ogni moneta nazionale nei confronti dell’euro. Un “cuscinetto” che
ridurrebbe i vantaggi ottenuti dalla Germania nei quindici anni di vita
dell’euro. Ed è stupefacente che i vertici italiani (Banca d’Italia, Governo
e Parlamento) abbiano approvato ad occhi chiusi una situazione così
penalizzante. Con l’aggravante della crisi delle banche italiane, penalizzate
rispetto alle banche europee cariche di derivati tossici e dalla colpevole
lentezza (mancato ricorso alla bad bank) del Tesoro nell’affrontare la
situazione dei crediti deteriorati (NPL). Anche le Gags (e relative
cartolarizzazioni) sono rimaste al palo. Il rinvio è la peggiore medicina.
Più passa il tempo più diminuisce il valore delle banche maggiormente esposte
a cominciare da Mps. L’unico dato positivo è costituito dalle recenti norme
per velocizzare il recupero dei crediti con un impatto stimato a un anno che
il mercato valuta al 4-5% (cioè 8-10 miliardi sullo stock lordo di Npl).
Tuttavia l’aumento dei tassi e dell’inflazione non può lasciare tranquilli
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