Alberto Pasolini Zanelli
L’unico viaggiatore partito in
questi giorni con la sicurezza di essere accolto all’arrivo si chiama Bao Bao e
sta concludendo con successo la sua missione internazionale a lungo raggio,
nello spazio e nel tempo. È il panda di turno che conclude la sua missione di
quattro anni in America e rientra in Cina. Viaggia con tutti i riguardi dovuti
alle radici storiche nel suo periplo. È il successore di tutta una serie di
panda, il primo dei quali aprì solennemente, con curiosità e allegria, le
relazioni diplomatiche fra gli Stati Uniti di Richard Nixon e la Cina di Mao
Zedong. Una missione per quei tempi quasi interplanetaria, ancor oggi ben più
di una routine. Ed è anche l’unico viaggiatore importante sicuro di essere
accolto bene all’arrivo e che il suo successore ripartirà dopo una breve pausa
alla volta di Washington per altri quattro anni di servizio diplomatico allo
zoo.
Gli altri viaggiatori importanti lo
invidiano, almeno se pensano a lui, perché oggi una missione in una capitale alleata
o amica è carica di incognite quanto una esplorazione. Lo sanno bene un po’
tutti, a cominciare da Donald Trump, atteso a Londra da manifestazioni ostili
di massa, ricalcate su quelle americane. Nella capitale britannica lo aspetta
una interlocutrice tenuta a usargli la massima cortesia, Theresa May, che al
potere ci è andata in conseguenza di un no che ha sancito il divorzio del Regno
Unito dall’Europa. Non ne ha colpa il presidente americano, ma l’occasione di
manifestargli ostilità è buona e più vivace ancora, perché anche in questo caso
l’interlocutore è una donna.
Intanto Trump ha dovuto in qualche
modo scusarsi per una delle sue gaffe: avere annunciato solennemente e con voce
accorata tremende notizie (“cose terribili”) dalla Svezia. Quando? La notte
precedente. Nessun particolare, nessuna spiegazione. Gli americani ci sono
abituati, ma il governo di Stoccolma ha dovuto controllare e ha ben presto
scoperto che in Svezia non era successo niente, tanto meno quella notte. La
frecciata di Trump era dovuta al fatto che la Svezia è il Paese europeo più
generoso per accogliere gli emigranti e quindi è l’esempio opposto a quello che
il neo inquilino della Casa Bianca si prefigge di fare in America. Questa
statistica gli dà ragione, ma tutte le altre lo smentiscono perché la Svezia è
sì piena di arabi e stirpi balcaniche, ma è il posto in cui questi non
combinano nessun guaio. Perché allora circola questa voce e perché la fa
propria lo statista più potente del mondo e che quindi dovrebbe essere anche il
meglio informato? Perché è l’aria che tira, ovunque, non solo in America ed è
solo in parte conseguenza di tensioni internazionali ma prevalentemente
dell’abitudine che un po’ ovunque si è diffusa di far circolare notizie e voci
non più attraverso i giornali o le reti televisive ufficiali ma attraverso i
social, che non si curano di smentire e preferiscono mettere in giro al più
presto un’altra voce. Nel caso che esse riguardino personaggi famosi, allora le
persone serie chiedono precisazioni al personaggio o a chi si sente in grado di
fornirne.
In una sola giornata uno dei
quotidiani più autorevoli d’America si è sentito in grado di rispondere alla
domanda: perché Trump è russofilo? Il primo motivo suggerito è ovvio: lo fa
nell’interesse degli Stati Uniti, avendo fatto sua la linea perseguita per
quattro anni da John Kerry, Segretario di Stato di Obama, a cominciare dalla
Siria. Ma potrebbe essere anche per motivi finanziari privati, nell’interesse
delle sue aziende in deficit e forse in società con ditte russe. Oppure perché
il presidente è in qualche modo complice degli aiuti che si dice egli abbia
ricevuto da Putin durante la campagna elettorale Usa. Non basta? Può darsi
anche che la Russia sia in possesso di dati compromettenti per il presidente
Usa, il che lo obbligherebbe a trattarla con molto rispetto. E infine la
spiegazione più “pulita” ma secondo il quotidiano più allarmante: che Trump la
pensi proprio come Putin e come lui consideri il terrorismo islamico il
pericolo più grave per il mondo. Lo sostiene un ex ambasciatore Usa a Mosca: “L’ho
sentito io parlare come un nazionalista russo”. È la restituzione della visita
del premier Theresa May.