Alberto
Pasolini Zanelli
Le ultime notizie
dalla Siria e dintorni sono insistenti, varie, contraddittorie. Soprattutto
quando si parla di Raqqa, la capitale ufficiale del Califfato e ormai la sua
ultima base del deserto che poco più di un anno fa l’Isis conquistò e fece suo
simbolo. Quando dai colpi di mano propagandistici si passò a poco a poco alla
realtà militare, il ruolo di Raqqa diminuì e crebbe quello di Aleppo, che
diventò per molti e per molto tempo l’anima della Siria. Quando finalmente quel
popoloso centro fu liberato da una variabile coalizione di forze, di interessi,
di ideali, parve scontato che Raqqa fosse il nuovo obiettivo, più debole
militarmente e ormai sempre di più ridotto a un ruolo simbolico. Sono molti
mesi, ormai, che il Medio Oriente, il mondo islamico, il resto del pianeta
aspettano la caduta di Raqqa. Che finora non è arrivata, anche se le profezie
si moltiplicano che danno la sua caduta per imminente. Promesse, proclami, ma
anche qualche gesto. Uno degli ultimi è l’annunciata partenza per quel fronte
di un reparto di ceceni, dunque basati in territorio russo. Pochi, non
destinati a cambiare il rapporto di forze ma hanno un valore simbolico,
soprattutto perché servono a moltiplicare le forze in campo. Vengono dalla
Russia ma non sono russi: obbediscono al presidente musulmano della Cecenia, Ramzan
Kadytov. Sono rinforzi al contingente russo, così come reparti del gruppo
hezbollah vengono integrati in una nuova unità dell’esercito siriano, chiamata
Quinto Corpo, una denominazione che, forse causale, ricalca quella famosa del
Quinto Reggimento della guerra civile spagnola di ormai un secolo fa, unità
scelta del Partito comunista. Una creazione ispirata e concorrenziale, a unità
analoghe integrate nelle forze del Libano o dell’Iran se non addirittura
dell’esercito siriano ufficiale. Testimoni di alleanza e ad un tempo di
concorrenza.
Perché ad Aleppo
le varie componenti del fronte anti Isis avevano combattuto e vinto assieme,
con l’obiettivo della principale città siriana dopo Damasco, ma a Raqqa ci
vogliono arrivare in concorrenza, con un disegno strategico complesso e contraddittorio,
basato principalmente sull’alleanza tra le forze armate regolari della Russia,
l’esercito ufficiale del regime siriano, la cooperazione con la Turchia e il
ruolo importante delle milizie curde. Era la penultima tappa e ancora ci si
poteva mirare assieme. Ma l’ultima è quella che conta e le contraddizioni
vengono tutte fuori, a cominciare da quella, a questo punto centralissima, fra
turchi e curdi. I primi si vogliono rafforzare il proprio ruolo oggi
predominanti, i secondi che dalla caotica guerra civile siriana sperano di
ottenere le chiavi per la sospirata loro sovranità etnica. Il regime di Damasco
può o almeno dovrebbe fare da mediatore e così gli Stati uniti, che a quanto
pare non hanno però ancora deciso su che bilancia gettare il proprio peso.
E così Raqqa
rimane un obiettivo strategico, ma soprattutto di sogno. A farla tale ha
contribuito in modo decisivo un romanziere francese che poco più di un anno fa,
quasi negli stessi giorni della strage terroristica di Parigi, ha pubblicato
un’opera che potrebbe anche chiamarsi di fantascienza o meglio di
fantapolitica. In cui la svolta non solo della guerra civile siriana, ma
dell’intera offensiva integralista è Napoleone Bonaparte. Proprio lui, che non
è morto. I suoi fedelissimi a Sant’Elena hanno tentato di preservarlo con le
tecniche del congelamento e lo hanno “sepolto” in mare, in una teca impermeabile
che viene ripescata due secoli dopo da dei pescatori norvegesi nelle acque
della Groenlandia. L’Imperatore mai morto risorge, torna a Parigi, si fa
raccontare due secoli di Storia, spiegare la situazione in Siria e in pochi
giorni capisce tutto. Ricrea una Grande Armée sul modello della sua sfortunata
campagna di Russia, la adegua alle tecnologie di oggi, la imbarca e si imbarca
su un aereo diretto a Raqqa, scende, riesce a convincere il capo militare
dell’Isis promettendogli palpabili ricompense nell’aldilà musulmano, lo
convince a disarmare le sue forze, pacifica la città e la Siria, si reimbarca
con i suoi pochi miliziani, congeda la sua Grande Armata. E se ne torna
all’amata isola d’Elba in compagnia di una ragazza che ha conosciuto a Raqqa.