Lo Stato guidi con autorevolezza la privatizzazione dei servizi pubblici
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 febbraio 2017
Ogni tanto, anzi assai spesso, si riapre in Italia il dibattito sulle privatizzazioni. Di solito si tratta di discussioni fondate su posizioni quasi teologiche fra chi pensa che tutto il bene risieda nel pubblico e chi ne fa invece la sede e l’origine di ogni male. La discussione di questi giorni sulla privatizzazione delle ferrovie e su un ulteriore passo in avanti della privatizzazione delle poste procede nella stessa direzione.
A questo punto ci serve una riflessione chiara e semplice per approfondire vantaggi e svantaggi, rischi e pericoli delle diverse scelte.
Partiamo dalla premessa che di pubblico nel sistema produttivo italiano vi è rimasto ben poco: dopo le ondate di privatizzazioni compiute in passato ci troviamo ormai tra i paesi europei nei quali la mano pubblica è meno presente nel settore produttivo, anche se si sta compiendo un cammino inverso nei confronti di alcuni istituti bancari (a partire dal Monte dei Paschi di Siena) messi a dura prova dalle crisi degli ultimi anni.
Un nuovo processo di privatizzazione non può quindi fondarsi su presunte richieste europee di ridurre il nostro sistema pubblico, richieste che non sarebbero fondate su fatti reali.
Rimane invece valida la motivazione legata alle conseguenze positive degli introiti delle vendite nei confronti del nostro debito pubblico. Un argomento certo fondato ma comunque di importanza modesta, dato che non può che essere modesto il possibile ricavo delle residue privatizzazioni. Sia nel caso delle ferrovie che in quello delle poste la funzione di servizio di pubblica utilità non potrebbe infatti venire a meno in caso di privatizzazione. Questo tanto nell’ipotesi della vendita di una quota di maggioranza che di una quota di minoranza delle ferrovie o delle poste. Gli investitori sono evidentemente riluttanti a pagare prezzi elevati per aziende riguardo alle quali rimane rilevante il potere regolatorio pubblico, particolarmente imprevedibile e volubile in Italia.
Si deve inoltre sottolineare che si tratta di aziende nelle quali i settori capaci di ricavare profitti si accompagnano ad altrettanti settori nei quali prevale invece la funzione di utilità sociale, come accade per i treni regionali o per la consegna della corrispondenza nelle aree periferiche del paese. Il processo di privatizzazione, per portare entrate, dovrebbe essere perciò limitato ai compartimenti o alle divisioni potenzialmente profittevoli (come l’Alta Velocità) riguardo ai quali bisogna tuttavia tenere in conto la perdita dei loro profitti futuri.
Mentre cioè il processo di privatizzazione delle aziende operanti in regime di concorrenza è intellettualmente semplice, la messa sul mercato delle imprese con un grande contenuto di utilità sociale e operanti in situazione di monopolio naturale deve essere portata avanti tenendo conto di tutti i conseguenti gravami. Per questo motivo gli altri grandi paesi europei sono stati estremamente prudenti a procedere alle privatizzazioni di questi settori.
Non si può inoltre trascurare il fatto che solo i grandi concorrenti stranieri sarebbero disposti a pagare prezzi elevati per arrivare al controllo dei rami più promettenti delle nostre pubbliche utilità. E se questo avvenisse, dopo che abbiamo perduto tutte le grandi imprese italiane, emigrerebbe verso l’estero anche il controllo dei nostri più importanti servizi pubblici. Proprio al contrario di quanto stanno facendo le poste e le Ferrovie degli altri maggiori paesi europei che, a partire da quelle tedesche, stanno estendendo la loro influenza a livello continentale come strumento di rafforzamento della loro strategia economica.
È quindi nostro interesse mantenere una presenza in questi campi anche tenuto conto dell’incredibile indebolimento del sistema di trasporto aereo, degli autotrasporti e della penetrazione nel nostro mercato delle organizzazioni straniere (pubbliche e private) di consegna delle merci a domicilio.
Non voglio con questo escludere ogni processo di privatizzazione in questi delicati campi. Insisto solo sul fatto che questo eventuale processo deve tenere conto degli obiettivi di utilità sociale e del possesso dei necessari strumenti di rafforzamento del sistema economico elencati in precedenza.
Dato che in Italia i dibattiti non nascono mai soli voglio solo richiamare quanto sta avvenendo nella controversia fra i taxisti e i gestori di servizi di Noleggio con Conducente (Ncc). In questo settore obblighi e privilegi si mescolano e si confondono fra di loro in modo inestricabile, con la conseguenza di provocare costi aggiuntivi, inefficienze e tensioni che durano ormai da decenni.
Quando le categorie si schierano le une contro le altre, come è avvenuto in questi giorni, vuol dire che le pubbliche autorità hanno rinunciato al dovere di imporre regolamenti tra di loro coerenti. Non sapendo resistere alla pressione dell’una o dell’altra categoria esse rinunciano al loro dovere di esercitare la necessaria autorità. Se, in conseguenza di un’auspicabile decisione, sciopereranno tutte e due le categorie, la decisione presa sarà probabilmente quella giusta.