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Così Trump incanta l'America che l'ha votato






NEW YORK - Donald Trump corre verso un impeachment, o almeno verso una clamorosa "implosione" della sua presidenza, travolta da errori e provocazioni estremiste? Questo può pensarlo chi legge La Repubblica e tanti altri giornali europei, o i quotidiani liberal delle due coste Usa come New York Times, Washington Post, Los Angeles Times. Ma la sensazione di un acuto isolamento mondiale, e perfino di una vasta rivolta interna, è parziale e fuorviante.

Vista dall'America che lo ha votato, la presidenza Trump sta mantenendo quasi tutte le promesse. Qualche incidente di percorso non cambia il giudizio di fondo delle sue constituency: finalmente abbiamo un leader che ci difende, presidia i nostri confini, ha a cuore la nostra sicurezza e i nostri posti di lavoro, restaura i valori tradizionali dell'America bianca e religiosa, e tratta a muso duro il resto del mondo. Nei sondaggi - per quel che valgono - la sua popolarità oscilla più o meno dov'era l'8 novembre; all'incirca un 45% si fida di lui. Non è tanto, storicamente è una partenza modesta per un presidente; ma non c'è quella frana che si potrebbe desumere dalla condanna dei media o dalle piazze piene di manifestanti.
NEW YORK - Donald Trump corre verso un impeachment, o almeno verso una clamorosa "implosione" della sua presidenza, travolta da errori e provocazioni estremiste? Questo può pensarlo chi legge La Repubblica e tanti altri giornali europei, o i quotidiani liberal delle due coste Usa come New York Times, Washington Post, Los Angeles Times. Ma la sensazione di un acuto isolamento mondiale, e perfino di una vasta rivolta interna, è parziale e fuorviante.

Vista dall'America che lo ha votato, la presidenza Trump sta mantenendo quasi tutte le promesse. Qualche incidente di percorso non cambia il giudizio di fondo delle sue constituency: finalmente abbiamo un leader che ci difende, presidia i nostri confini, ha a cuore la nostra sicurezza e i nostri posti di lavoro, restaura i valori tradizionali dell'America bianca e religiosa, e tratta a muso duro il resto del mondo. Nei sondaggi - per quel che valgono - la sua popolarità oscilla più o meno dov'era l'8 novembre; all'incirca un 45% si fida di lui. Non è tanto, storicamente è una partenza modesta per un presidente; ma non c'è quella frana che si potrebbe desumere dalla condanna dei media o dalle piazze piene di manifestanti.
Ciascuno degli atti e dei messaggi- shock di questo presidente ha una valenza molto diversa, se lo si legge con gli occhi di quella (quasi) metà della nazione che lo ha portato alla Casa Bianca. Elenco i più importanti, tra i tweet o le immagini eloquenti che Trump elargisce alla sua base.

Comincio dalla fine, la nomina del nuovo giudice Neil Gorsuch per riempire il seggio vacante alla Corte suprema, una mossa vincente che ricompatta la destra. La sera stessa Trump diffonde via Instagram una foto che lo ritrae in preghiera alla Casa Bianca insieme al vicepresidente Pence, a Gorsuch, al figlio sacerdote dello scomparso giudice Scalia, e altri familiari. Il messaggio alla destra cristiana: ecco cosa sto facendo per voi, vi dò un giudice integralista e antiabortista. Trump salda i debiti: i protestanti più conservatori, evangelici e rinati, lo votarono con percentuali plebiscitarie l'8 novembre. A differenza della sinistra che riempie le piazze dopo aver perso le elezioni, le truppe "teocon" sanno che ci si conta il giorno del voto.

Salto indietro all'inizio della turbo-settimana degli ordini esecutivi. Il 24 gennaio Trump diffonde via Twitter e Instagram la foto che lo ritrae a capotavola nel meeting con gli amministratori delegati dell'industria dell'automobile. "Together We Will Make America Great Again!" Incassa la garanzia dalla Ford che uno stabilimento nuovo verrà aperto nel Michigan anziché in Messico. "Voglio nuove fabbriche costruite qui per le auto vendute qui!" lancia un tweet successivo. Per i colletti blu del Michigan non conta il fatto che le fabbriche "salvate" da Trump pesino solo alcune migliaia di posti di lavoro. Pochi, maledetti e subito: c'è un presidente che convoca i chief executive, fa la voce grossa, e sta dalla "nostra" parte. Due giorni dopo torna sul tema a proposito del Nafta, il trattato firmato da Bill Clinton per il mercato unico nordamericano. Tweet del 26 gennaio: "Gli Usa hanno 60 miliardi di deficit commerciale col Messico. Fin dall'inizio il Nafta ha favorito solo loro"". Il 27 gennaio torna a martellare contro il Messico: "Si sono approfittati di noi troppo a lungo. Si cambia. SUBITO!". Così prepara l'affondo sul Muro. Nuovo rimprovero al Messico via Twitter: "Scarso aiuto sul confine- colabrodo". In seguito lascia che trapeli la sua telefonata col presidente Enrique Peña Nieto: "Tenete a bada i vostri delinquenti, o ci penseremo noi".

Minaccia di invasione militare? Di blitz dei commando americani oltreconfine? L'establishment diplomatico, gli ambasciatori "obiettori di coscienza", i media del mondo intero sono sdegnati per l'offesa alla sovranità del vicino. Ma noi stessi quante volte abbiamo pubblicato articoli di Roberto Saviano sulla potenza dei narcos messicani, la loro impunità, le gravi connivenze nell'esercito e nella polizia locali? Trump ne trae le conseguenze. E per sottolineare la differenza con la sinistra politically correct, ecco uno dei suoi temi favoriti, in un tweet del 24 gennaio: "Se Chicago non blocca l'orrenda carneficina, 228 sparatorie e 42 morti dall'inizio dell'anno, mando i federali". Roccaforte democratica, la città di Barack Obama è il simbolo delle ricette fallimentari della sinistra tollerante e lassista. Law and Order trionferanno con Trump.