Alberto Pasolini Zanelli
Da Raqqa se ne vanno in autobus.
Gli ultimi guerriglieri terroristi dell’Isis e i civili superstiti e vittime di
un assedio durato più di tre anni e carico di sofferenze e di sangue. Le sorti
della capitale, provvisoria o simbolica, del Califfato che doveva insediarsi
sulla Siria e sull’Irak contemporaneamente e poi, nei sogni dei jihadisti, a
tutto il Medio Oriente e oltre, dovunque abitano musulmani. Ci arrivarono quasi
contemporaneamente a città molto più importanti e popolose. Erano loro, in quel
momento, ad assediare, a celebrare, a uccidere. Poi a poco a poco il mondo
imparò a fermarli e poi a passare al contrattacco. Da diversi mesi Raqqa era
rimasta ultima e sola, già liberata in sostanza, ma prima di riconquistarne il
quartiere più popolato riuscì a rinviare lo sgombero in modo da salvare il più
possibile i civili. Come gli altri centri contesi, la controffensiva si arrestò
per qualche mese nella speranza che i cittadini superstiti riuscissero ad
andarsene in pace. Superstiti delle atrocità dell’Isis e anche dei
bombardamenti dei liberatori. Che non erano una coalizione ma due, concorrenti
e opposte, praticamente nemiche. Due fazioni siriane, quella governativa e
quella rivoluzionaria ma non jihadista e i rispettivi alleati. Per mesi il
rombo dominante fu quello dei cannoni russi, nelle ultime settimane quello dei
bombardieri americani. Solo questi ultimi, secondo elementi confermati dai dati
neutrali internazionali e neutrali, sono costate almeno un migliaio di morti,
quelle precedenti, in un tempo più lungo, almeno altrettanti. Non si sa fino a
che punto i concorrenti si siano accordati nella tregua. I guerriglieri non
volevano lasciare andare via in pace i cittadini se il “passaggio” fuori dalla
“sacca” non fosse garantito anche a loro. Ci riuscirono e adesso gli autobus
che percorrono il deserto ospitano gli uni e gli altri, separati o assieme.
Un finale imprevisto e quasi di
sogno della fine di una lunga guerra feroce, non solo a Raqqa ma ormai in tutta
la Siria e buona parte dell’Irak. Una guerra finisce, un’altra è già cominciata
fra i vincitori: l’esercito iracheno e le milizie curde, alleate fino al
referendum che dovrebbe avere sancito la nascita di uno Stato curdo richiesto
alla fine della Prima guerra mondiale come parte dello smembramento dell’Impero
ottomano. Nacquero delle “nazioni”, diverse delle quali inconciliabili con gli
interessi degli “indigeni”, ma dipendenti dalle richieste dei residui
colonialisti.
Le guerre civili dell’area non
furono, o almeno non avrebbero dovuto essere, una sorpresa. Il resto del
pianeta si occupò, nelle sue province mediorientali, quasi esclusivamente di
spartirsi il petrolio e di rimanere coinvolte nei residui di una Guerra Fredda felicemente
o quasi raggiunta e proclamata nel resto della Terra. Fu questa sorte comune ad
allargare o abolire i confini e le barriere politico-economiche e a risvegliare
tragicamente quelle tribali e soprattutto religiose. È una “guerra civile”
dell’Islam, che tragicamente si è estesa al resto del mondo e più crudelmente
in Europa. Oggi c’è forse più incubo terrorista a Londra e Bruxelles che in
alcune regioni “musulmane”. Questa guerra non è finita, ma un angolo è stato
salvato. È una sorpresa a lungo termine. Era diffusa una specie di
rassegnazione. Che fra l’altro aveva ispirato una fantasia storico-letteraria,
una leggenda fantapolitica. Proprio nei giorni della prima strage a Parigi, uno
scrittore francese aveva stampato una leggenda: l’unico generale in grado di liberare
Raqqa era Napoleone risorto. Che in realtà non era mai morto, salvato dai
fedelissimi il giorno dopo la sconfitta di Waterloo mediante ibernazione, “nascosto”
nell’oceano, riscoperto da pescatori nell’Artico “resuscitato” assieme al suo
cavallo preferito, riportato a Parigi, istruito sull’incubo in corso. Che si
era costruito un piccolissimo esercito privato con più spogliarelliste che
soldati, era atterrato a Raqqa e in un paio di incontri aveva convinto il capo
dell’Isis che solo smontando la sua organizzazione avrebbe potuto andare nel paradiso
islamico e incontrare le concupite Uri. E Bonaparte aveva potuto dimenticare le
sue arti marziali e ritirarsi all’Elba con una nuova amante. Forse lui non ne
aveva proprio bisogno, ma il ventunesimo secolo sì.