Alberto Pasolini Zanelli
Da tre giorni la Corea del
Nord ha perduto la maglia gialla del Pericolo Giallo. È decaduta quanto a spazi
sui giornali e a tempo di occupazione nei notiziari televisivi. Per quello che
si può capire di un personaggio molto peculiare come Kim Jong-un è possibile
che egli invece di sentirsi un po’ riposato da una tregua nello scambio di
minacce, esperimenti nucleari e insulti, quasi si stia godendo una immeritata
pausa di riposo. Chi crede di conoscerlo meglio ritiene però che egli provi un
senso di frustrazione. Né lui né i suoi sudditi erano abituati a essere citati
allo stesso livello della Superpotenza mondiale. Per decenni Pyongyang veniva
trattata come un capoluogo di provincia nell’Asia immensa. Da quando minaccia
il mondo di un olocausto nucleare è diventata una metropoli, prevedibilmente
assai provvisoria. Per fare notizia adesso il dittatore, dopo avere fatto fuori
uno zio e “lavorato” con successo all’eliminazione di un fratellastro, adesso
pare si voglia associare una sorella, di cui si ignorava quasi l’esistenza e
che adesso sta per diventare protagonista di una brutta storia.
Questo dal punto di vista
pubblicitario. Sul piano politico a rimettere temporaneamente la Corea del Nord
nel cassetto è stato il controprotagonista della crisi, quello che abita alla
Casa Bianca, che da alcuni giorni appunto ha smesso di parlare di quella crisi
e si è dato da fare per ravvivarne un’altra. Dopo avere espresso, citato e
rigirato le possibili reazioni dell’America alla minaccia di quei missili
instancabili che sorvolano i suoi alleati e fanno parlare di tutte le possibili
combinazioni nucleari, Donald Trump ha ritirato fuori un’altra versione della
“bomba”, che diverge da quella nordcoreana in tanti modi, dalla geografia
all’esistenza. Kim non ha più bisogno di attirare le attenzioni e le angosce
del mondo: lo sanno tutti che lui l’atomica ce l’ha, anche perché invece di
fabbricarsela di nascosto lo ha fatto con il massimo di pubblicità. In compenso
non ha preso alcun impegno di “smontarla”. Il suo involontario concorrente è Hassan
Rouhani, presidente dell’Iran, che il nucleare non ce l’ha anche se gli
piacerebbe tanto, non manda missili a spasso per il mondo, si è impegnato in un
trattato internazionale a non far procedere gli esperimenti nucleari e si è
dedicato, semmai, a partecipare alla zuffa generale nel Medio Oriente che ha
scosso negli ultimi anni il resto del pianeta. Il trattato è stato voluto da un
presidente americano, Barack Obama, elaborato in una serie lunghissima di
trattative, salvato dall’ostilità diffusa in America, portato a termine in una
storia romanzesca ed improbabile. Per metterlo d’accordo con la Casa Bianca, si
sono dati da fare altri importanti Paesi del mondo, dalla Russia alla Cina,
alla Francia, alla Germania (che non è del “vertice” dell’Onu), le “ospitalità”
di Paesi neutrali e perfino l’Italia, in una forma inedita e pittoresca, la
presidenza dei vertici è spettò alla rappresentante dell’Italia, in quanto
“alta autorità” della Ue per la politica estera, Federica Mogherini, che ha
infiorato le trattative e moderato gli scontri con il suo bel sorriso e la sua
pazienza. Il merito del raggiunto accordo è però del Segretario di Stato
americano John Kerry, che ha saputo ricucire tutti gli strappi anche quando ostacolato
da una caduta dalla bicicletta che ha rischiato di mandare tutto a catafascio.
Ma lui si è aggirato col bastone ed è riuscito a convincere tutti.
Il suo segreto non era poi tale: si
è arrivati allo scambio delle promesse voluto fortemente da tutti gli europei:
l’Iran non farà passi avanti nella costruzione di un’atomica e l’America
smetterà di imporre all’Iran sanzioni prevalentemente economiche, promettendo a
sua volta che se una parte verrà meno all’impegno, Washington le sanzioni le
aggraverà. Il mondo ha respirato, una parte dell’America no. Ha cambiato
presidente da una “colomba” democratica a un “falco” repubblicano. Se ne è
andato anche Kerry, che adesso fa il professore universitario e si è portato
via una buona parte della pazienza mediatoria della Casa Bianca. È spuntato
Trump, che ha subito dichiarato che quel trattato è stato il peggiore a sua
conoscenza e ha promesso di farlo saltare. Egli non ha esattamente questo
potere, ma il suo predecessore gli ha trasmesso l’incarico di rifirmare ogni qualche
mese il patto. Il che non significa cancellarlo (quello tocca al Congresso), ma
di aggravarne le clausole. Gli esperti, anche governativi, hanno fatto sapere
che non vedono i motivi perché è un trattato nucleare e l’Iran lo ha finora
rispettato. Neppure Trump lo nega, però il regime di Teheran continua a non
piacergli (soprattutto per i suoi interventi nelle guerre civili siriane e
irachene). Gli europei, i russi, i cinesi si sono precipitati a raccomandare
alla Casa Bianca di non creare una nuova crisi internazionale. Cioè la pensa
come il Congresso. Le raccomandazioni in questo senso si moltiplicano, Trump è
impegnato anche in una lite con il suo ministro degli Esteri. Kim Jong-un
potrebbe approfittare di questa pausa che distrae. E dedicarsi agli affari di
famiglia.