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L’eccezione, quando è ripetuta, rischia di trasformarsi in regola



Alberto Pasolini Zanelli
L’eccezione, quando è ripetuta, rischia di trasformarsi in regola. L’ultima “sorpresa” pare dover sfuggire a questi destini alternativi e ricevere subito l’attenzione che merita. È il caso delle elezioni per il Parlamento di Vienna, che sono andate come gli esperti compattamente avevano previsto. Con il successo complessivo dei partiti di destra e di centrodestra e la conseguente formazione pressoché inevitabile di un governo inedito per decenni e in pratica nel secondo dopoguerra. Fra due partiti molti differenti nelle esperienze storiche.
Il cui “fidanzamento” è stato, però, rapidamente scontato: un centrodestra che si sposta a destra e un’estrema destra che divorzia dall’estremismo e diventa una solida formazione di destra. Le cifre parlano chiaro e non c’è molto da aggiungere, se non sottolineare un record statistico: la vittoria al primo tentativo del più giovane leader d’Europa.
Ma questo è, in fondo, un dettaglio. Il dato che conta di più è quello che riguarda non i due vincitori, ma lo sconfitto, i socialdemocratici, che escono da una maggioranza così solida e continua da sembrare automatica. Un risultato importante è indicativo per l’Europa intera e non solo per un Paese di dimensioni modeste come l’Austria. Non è neppure una sorpresa, in fondo: la Ovp, il Partito popolare, cattolico di centrodestra da sempre, usualmente alleato però con il socialdemocratico di moderata sinistra. Da diversi anni in declino. Per ben due volte in pochi mesi il Partito della libertà, di estrema destra, aveva mancato di un soffio la vittoria “alternativa”: superato la prima volta da una coalizione di tutti gli altri partiti e fermo la seconda al 47 per cento. Adesso si affaccia al potere, portato da un’onda che non è più solo austriaca ma europea. È andata così in Germania con il calo contemporaneo dei due partiti tradizionali, la Spd e la Cdu-Csu di Frau Merkel, a vantaggio della Alternative fur Deutschland. È andata così anche in Olanda e nei Paesi scandinavi, altra culla del socialismo democratico. Non è andata così, nonostante le apparenze, neppure in Francia, che ha visto in finale il Front National di Marine Le Pen e di tutte le altre forze politiche sommate e in Gran Bretagna, con un primato di misura ai conservatori di Theresa May, altri moderati in declino; ma la tendenza quasi unanime per i Paesi del continente. Il dato veramente storico è il semicollasso.
Può essere la svolta del nuovo secolo. Il ventesimo aveva accompagnato alla tomba il comunismo. La socialdemocrazia non doveva esserne l’erede ma l’antidoto, la rivincita della ragione contro tutti gli estremismi, del progresso scientifico oltre che ideologico, simboleggiato anche in concreto dall’Unione europea e dall’Europa come baricentro del pianeta. Ben pochi avevano previsto le difficoltà e gli ostacoli, principalmente due: uno umano, che nel nostro continente si è concretizzato nel dramma dell’emigrazione dalle terre della guerra e della fame, massime dalle nostre frontiere e in tutto il mondo dall’orgia entusiasmante e allucinante di un progresso tecnologico più e drammatico di ogni previsione. Le macchine che rubano il posto agli uomini e alle donne, sottraggono il futuro ai giovani, fanno risorgere odii razziali e caos culturali e vocabolari e alfabeti di evi bui. Avevamo fiducia, un po’ dappertutto, non soltanto nel lucido pensiero dei computer per quanto riguarda due tradizioni culturali e politiche: il “liberismo” americano e l’armonia che possiamo pensare e battezzare “socialdemocratica”. La capacità del compromesso che le macchine non possono conoscere, un ripensamento dell’indifferenza elettronica e l’impegno del buon senso “sociale”. Riassunte in due famiglie politiche, la liberale e quella che possiamo ancora chiamare socialdemocrazia. E che di questi tempi barcolla a quasi tutti i test elettorali.