E’ ora che l’Europa reagisca alle decisioni unilaterali di Trump
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 5 gennaio 2020
L’uccisione di Qassem Suleimani, da molti anni “diabolico” stratega del regime iraniano all’estero, è stata accompagnata da reazioni dettate più dall’emozione che dall’analisi oggettiva degli elementi in nostro possesso. È bene quindi riflettere sulla realtà delle cose e, solo dopo, esibirci in ipotesi e congetture su quanto può accadere in futuro.
Partiamo in primo luogo dal fatto che Trump ha voluto dare una dimostrazione spettacolare e concreta della potenza americana e lo ha fatto con le modalità e in un momento che più hanno giovato alla sua politica interna.
Da un lato ha infatti dimostrato all’opinione pubblica di potere colpire ovunque e con efficacia e, dall’altro, ha voluto prendere queste decisioni senza porsi alcun problema riguardo alle possibili violazioni del diritto internazionale e al futuro delle relazioni fra Stati Uniti e Iraq, paese dove è avvenuta l’esecuzione.
L’uccisione di Suleimani, al presente, ha portato quindi a Trump indubbi vantaggi politici senza alcuna perdita.
Dobbiamo a questo aggiungere che, di fronte agli interessi elettorali, non è abitudine di Trump porsi il problema delle conseguenze delle sue azioni sugli scenari mondiali.
Anche perché gli aspetti negativi più probabili e immediati di un’eventuale crisi internazionale potrebbero colpire gli Stati Uniti solo in modo indiretto.
Dal punto di vista economico abbiamo ascoltato un coro che prevede un verticale aumento del prezzo del petrolio. Data la dose di irrazionalità presente nei mercati ciò è anche possibile ma, a mio parere, largamente improbabile: di petrolio ce n’è tanto che non sappiamo dove metterlo.
Tutto questo mentre il totale delle esportazioni iraniane, pesantemente ferite dalle sanzioni in corso, sono crollate a 300.000 barili al giorno (rispetto ai 2,6 milioni dell’aprile 2018).
A questo si aggiunge il fatto che gli Stati Uniti, per effetto dello Shale Oil sono ormai autosufficienti nel settore energetico. Anche una non probabile crisi della produzione petrolifera del Medio Oriente sarebbe quindi un problema cinese o, al massimo, europeo. Agli USA, come si riassume in termini popolari, “non ne potrebbe importare di meno”.
Diversamente stanno le cose dal punto di vista politico, anche se l’Iran viene colpito in un momento di particolare fragilità perché il paese è ormai esausto in conseguenza delle durissime sanzioni imposte dagli Stati Uniti dopo il ripudio del trattato nucleare sottoscritto insieme ai maggiori paesi europei.
Vi saranno quindi azioni e ritorsioni che insanguineranno per lungo tempo il Medio Oriente, accendendo ancora di più le tensioni fra il il mondo degli Sciiti, che dall’Iraq arriva fino al Libano, e l’universo Sunnita che lo contorna. Tuttavia gli Stati Uniti, feriti dalle precedenti esperienze, non invieranno certo truppe in Medio Oriente, se non per difendere le proprie ambasciate.
Nello spazio che va da Riad a Tel Aviv possiamo invece aspettarci di tutto. E queste possibili tragedie avverrebbero a due passi dall’Europa.
Noi italiani siamo particolarmente coinvolti in tutto questo. Abbiamo infatti 3.500 militari che svolgono missioni di pace nei territori resi da oggi più insicuri: quasi 1.000 soldati italiani in Iraq, 800 in Afghanistan e oltre 1.000 in Libano dove, da molti anni, garantiamo la pace in un territorio tra i più delicati di tutto lo scenario mondiale impedendo finora, con una imparzialità e una capacità da tutti riconosciuta, qualsiasi scontro fra gli Hezbollah e Israele.
Nella nostra opinione pubblica si sta tuttavia diffondendo un senso di sgomento sia per l’ennesima dimostrazione di impotenza di un’Europa divisa, sia per il progressivo allargarsi di un fossato tra l’Europa e gli Stati Uniti. Con la presidenza Trump il distacco fra gli interessi europei e gli interessi americani sta aumentando di giorno in giorno, mettendo in pericolo un legame che ha garantito pace e sviluppo economico per un periodo di tre generazioni. Diventa ancora una volta evidente che non possiamo pretendere che altri si prendano cura di noi europei, anche se un rapporto più amichevole e solidale sarebbe utile sia agli europei che agli americani.