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Prodi: «Governo distratto dalle liti. Il Colle? Non mi interessa. E poi i 101 sono ancora lì»

Il Professore: Emilia ben governata, Salvini attacca e parla d’altro

Corriere della Sera


Prodi: «Governo distratto dalle liti. Il Colle? Non mi interessa. E poi i 101 sono ancora lì»
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«Prodi, un nonno al Quirinale. C’è chi dice così? Bene: di questa espressione mi interessa solo la parola nonno. Un nonno felice. Prima di andare in pensione a me piaceva fare il premier. Questo sì che mi piaceva, ma non ho mai puntato alla presidenza della Repubblica. E non ci penso certo ora. Peraltro, quegli oltre 101 che in Parlamento votarono contro di me, ci sono ancora». Il Professore allarga le braccia in un’espressione stupita, seduto sul divano nell’abitazione di via Gerusalemme, a Bologna. Sul tavolo una scatola di sardine al cioccolato che «mi ha regalato un amico francese». Resterà un papabile per il Colle? Risolutamente risponde di no. I suoi pensieri sono rivolti alla Libia, all’Iran e all’Europa. E all’Emilia-Romagna che va a votare. «Quando nel 2009 ho iniziato a insegnare alla China Europe International Business School di Shanghai l’Unione era uno degli argomenti preferiti. Negli ultimi anni nessuno mi ha più chiesto di parlare di Europa».
Bruxelles si è condannata all’irrilevanza?
«Certo, finché procediamo separati. Questa impossibilità di trovare una linea comune produce la paralisi».
Un’Europa debole e un’Italia più isolata. Colpisce che Roma sia stata «dimenticata» dagli americani nel giro di telefonate dopo l’uccisione di Soleimani.
«Trump, che voglio sperare sapesse cosa stava facendo, al contrario dei suoi predecessori non ha avvisato nemmeno la Nato. Dopo c’è stato anche questo sfregio a noi, a differenza di Francia e Germania. Il problema è che l’Italia ha perso il ritmo. La politica estera richiede continuità».
Come giudica il ministro degli Esteri Di Maio? C’è quella foto di lui in sneakers con la fidanzata e la barba lunga all’aeroporto di Madrid mentre scoppiava la crisi militare. Non era dove doveva essere?
«È solo stato sfortunato ad essere fotografato in un momento sbagliato. Nessuno poteva prevedere che cosa avrebbero fatto gli americani. Certo, se penso al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che incontra Di Maio mi immagino le difficoltà di quell’incontro».
Le competenze contano.
«Sì, c’è qualcosa che sta cambiando nel sentire delle persone: fino a poco tempo fa si inseguiva solo la novità, ora si ricomincia a valutare l’esperienza. In qualsiasi sistema il curriculum è importantissimo. E servono relazioni, rapporti di fiducia e di amicizia coltivati nel tempo. Ricordo sempre questo aneddoto: vinco le elezioni nel 1996 e vado da Kohl. Parliamo per due ore. Una volta terminato, lui mi dice: “Che bel colloquio, ma chi viene la prossima volta?».
È in nome della stabilità che lei è da sempre un forte sostenitore del sistema maggioritario?
«Certo! E in tanti mi hanno criticato per questo. La legge elettorale è fondamentale anche per poter decidere. La Francia, senza la legge che ha, sarebbe in una situazione peggiore della nostra».
Professore, dura questo governo?
«Razionalmente posso dire di sì, nelle votazioni parlamentari continua a vincere. Però nelle cose umane c’è sempre l’imprevisto. Ci sono obiettivi vitali che dovrebbero essere più forti delle ragioni di frattura. Se prevale l’interesse particolare, può accadere la stessa cosa che successe a me con Bertinotti, il quale abbatté il governo e se stesso».
Non si può certo dire che gli alleati giallorossi diano un’immagine di unità. Se non litigano sulla prescrizione, lo fanno sull’articolo 18 o su qualunque altra materia.
«Appunto: servono programmi e non dogmatismi. Esistono ben altri argomenti su cui dovrebbero ritrovarsi uniti. Questa alleanza è stata messa in piedi in grande velocità, mentre richiedeva tempo, come è accaduto in Germania e in Austria. Si può passare dall’odio all’amore solo se si entra in una fase propositiva su nuovi temi. L’economia deve essere il vero campo da gioco. Prendiamo il costo del lavoro. Attualmente quello italiano è grandemente inferiore rispetto a quello tedesco e francese. E possiamo dire che è meno lontano da quello cinese: un tempo il nostro era 40 volte il costo orario del lavoro di Pechino, ora 2,5-3 volte. Non siamo a costo pari, ma ci stiamo avvicinando e bisogna preparare il futuro».
Se il Pd perde l’Emilia-Romagna cade il governo?
«Penso che Bonaccini vincerà e, in ogni caso, le ricadute del voto dipenderanno piuttosto dai possibili nuovi equilibri dentro le forze di maggioranza e di opposizione».
Dice Salvini che vuole liberare l’Emilia-Romagna.
«Ma liberarla da cosa? L’Emilia-Romagna è una terra libera. E per di più qui ci sono redditi più elevati e maggior tasso di occupazione. Vogliamo parlare degli investimenti della Lamborghini, della Philip Morris? I dati economici dell’Emilia sono migliori del resto del Paese. È in questa regione che ci sarà la maggior concentrazione di big data in Italia. Due terzi dei computer del futuro sono destinati all’Emilia-Romagna. E il fatto che tanti vengano a curarsi nelle nostre strutture sanitarie? Sarà anche merito di chi ha governato».
Non sembrano pensarla così in un alcune aree del pur benestante Modenese. O del Ferrarese. Dove la sirena leghista ha una forte capacità di attrazione.
«Non è una questione di reddito. O non solo. In tutto il mondo aumentano le tensioni tra centro e periferia. Tra chi si sente parte di un processo collettivo e chi no. Tra chi si sente al volante e chi no».
Sociologicamente parlando non sono forse le stesse persone che votavano partito comunista?
«Ma ora non ci sono più i partiti che un tempo facevano da collante. Si occupavano di indicare un progetto, magari evitando che fosse la pancia a determinare le scelte. Abbiamo bisogno di rinnovamento, ma non dello sfascio».
Anche lei è stato preso di mira dalla campagna leghista sui social in Emilia.
«Certo, perché Salvini di tutto vuole parlare tranne che del governo emiliano. Non gli conviene».
C’è chi sostiene che «c’è Prodi» dietro il movimento delle Sardine. Andrà in piazza con loro il 19?
«No, perché non voglio danneggiarle. Magari fossi stato in grado io di creare un movimento del genere».
Saranno determinanti per Bonaccini?
«Di sicuro hanno condizionato Salvini. E penso che stiano convincendo la gente ad andare a votare».