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Libia: un primo passo a Berlino, ma per fermare la guerra serve l’intesa Italia-Francia


Debolezze e spiragli: il bicchiere di Berlino mezzo vuoto sulla Libia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 21 gennaio 2020
I commenti sui risultati della Conferenza di Berlino tendono a convergere sul fatto che il bicchiere sia mezzo pieno e mezzo vuoto. La definizione è giusta, ma penso anche che occorra prima precisare quale sia il vuoto e quale il pieno, per poi riflettere sulle conseguenze future delle decisioni prese.
Il primo aspetto positivo è che alla riunione hanno preso parte i leader politici dei paesi interessati al livello più elevato. Non solo i massimi esponenti di Germania, Francia, Italia e Turchia, ma i responsabili della politica estera russa e americana, ai quali si sono aggiunti i vertici della Commissione europea, della Commissione africana e della Lega araba. In secondo luogo è certamente positivo che essi abbiano firmato un documento volto a confermare la permanenza della tregua e l’embargo della fornitura delle armi, negli ultimi mesi copiosamente arrivate in Libia. Un ulteriore passo positivo è la proposta di formare un comitato militare di dieci persone che dovranno controllare sul terreno il comportamento delle parti in conflitto.
A questo punto dobbiamo ammettere però che il bicchiere è più vuoto che pieno perché non sono stati apprestati gli strumenti tecnici e non sono state decise le sanzioni concrete per fare rispettare la tregua e, soprattutto, l’embargo delle armi.
Inoltre i protagonisti della guerra, cioè il Primo Ministro Serraj ed il generale Haftar sono rimasti chiusi nelle loro stanze e non si sono fisicamente incontrati. Il che obbliga a dubitare ancora di più sulla durata della tregua anche perché, mentre a Berlino si discuteva, a Tripoli sono ripresi gli scontri armati. Il documento finale è stato infatti firmato dai rappresentanti delle grandi potenze, ma non dai due protagonisti sul terreno. La Libia, comprese le tribù che costituiscono la vera forza del Paese, non ha quindi preso parte alle decisioni.
Non si è riusciti, infine, ad impegnare il generale Haftar a riattivare le esportazioni di petrolio da lui strettamente controllate. Per effetto di queste restrizioni l’export di petrolio libico è ora ridotto a meno di 100 mila barili al giorno mentre, fino a pochi giorni fa, era intorno a 1,2 milioni. Deve essere a tutti chiaro che sono solo gli introiti del petrolio a mantenere in vita il popolo libico, in quanto essi vengono distribuiti dalla Banca Centrale a tutte le tribù e a tutti i protagonisti della politica nazionale. Le conseguenze sono evidenti: se non si ripristinano i flussi finanziari precedenti, le tensioni saranno più forti di prima.
A margine di questo riassunto delle risoluzioni della Conferenza di Berlino, occorre tuttavia aggiungere alcune osservazioni riguardo al suo implicito messaggio sulle future vicende politiche del Mediterraneo.
La prima osservazione ci obbliga a mettere in rilievo il sostanziale disinteresse americano. Il segretario di Stato Mike Pompeo era presente ma ha svolto un ruolo ostentatamente marginale. Berlino segna quindi un ulteriore passo nel progressivo ritiro della politica americana dal Mediterraneo e dal Medio Oriente. Non mi sembra un fatto secondario e nemmeno temporaneo. Anche perché vi è ora maggiore spazio all’intervento delle potenze regionali che, nel nostro caso, si chiamano Russia e Turchia. I due paesi sono fra loro uniti da una stretta alleanza che tuttavia, nel caso libico, si è trasformata in un aperto conflitto. La Russia, insieme all’Egitto, ha  organizzato la forza militare di Haftar, mentre la Turchia è corsa al soccorso del debolissimo Serraj. Attorno a loro, anche se non sono apparsi visibilmente a Berlino, si muovono, con un attivismo finora inedito e del quale dovremo tenere maggiormente conto, i paesi del Golfo e l’Arabia Saudita.
Anche se non è certo sufficiente per riempire il bicchiere, bisogna tuttavia constatare che a Berlino l’Europa ha cominciato a giocare un possibile ruolo in questo conflitto così vicino a noi, ma che fino ad ora ci ha visti divisi e, di conseguenza, impotenti.  La Germania ha infatti aperto una finestra per un possibile accordo fra i paesi europei. Un accordo che inserirebbe anche l’Europa almeno fra le potenze regionali. Forte della passata decisione di astenersi dallo sciagurato intervento militare, e dato il non primario interesse germanico riguardo alla Libia, la Cancelliera tedesca ha dimostrato di essere in grado di iniziare con qualche possibilità di successo il difficile compito di rendere fra di loro compatibili la politica francese e quella italiana nei confronti della Libia.
Credo che sia per noi conveniente assecondare questo tentativo perché solo con un’intesa fra Francia e Italia è possibile iniziare una politica capace di portare la pace in Libia e di progettare una politica di sviluppo del Mediterraneo, una politica che ha, fino ad ora, ricoperto un ruolo del tutto marginale nell’agenda europea. Cerchiamo quindi di riempire, con un una comune strategia fra Italia e Francia, la non trascurabile parte del bicchiere che è rimasta vuota a Berlino.