Alberto
Pasolini Zanelli
Washington lo vede
come un tradimento, proprio nel senso coniugale del termine. Attorno al
settantesimo anniversario della fondazione, a Bretton Woods, di un ordine
mondiale postbellico a direzione apertamente americana, nasce adesso un
contropotere, economico nella pratica e nella denominazione, ma non privo,
evidentemente, di ambizioni e di conseguenze politiche, nel senso più ampio,
legato all’ordine mondiale. E lo presiede la Cina, potente ma imbronciata degli
ultimi vent’anni, esclusa da istituzioni consolidate come la Banca Mondiale e
il Fondo Monetario Internazionale, ma lanciata nell’impresa di conquistare un
ruolo anche formale degno della potenza economica numero due del mondo in
procinto di scavalcare fra pochi anni gli Stati Uniti.
Quello di Pechino
è un progetto fresco, lanciato dal nuovo presidente Xi Jinping e, sotto varie
denominazioni (anche pittoresche come i riferimenti alla Strada della Seta e a
Marco Polo) e con una costante accelerazione. Una “offensiva” che ha raggiunto
in questi giorni i suoi obiettivi “istituzionali”. Uno dopo l’altro i governi
interpellati, soprattutto in Europa, hanno aderito prontamente a un ritmo rapidamente
crescente e rivelatore di un’ansia. La prima a dire “sì” e a sbloccare il
procedimento è stata, massima sorpresa per gli Usa, la Gran Bretagna, seguita a
poche ore di distanza dalla Germania, dalla Francia, dall’Italia. Con diversa
“cilindrata” finanziaria ma con la chiara volontà di essere soci a pieno titolo.
Le trattative più “calorose” sono state segnalate proprio a Berlino, terra del
“rigore” e dunque della prudenza, ma il contributo più concreto dovrebbe
venire, almeno nella fase iniziale, dalla Gran Bretagna, che mette a
disposizione del club concorrenziale del Fmi e della Banca Mondiale, le enormi
risorse della Borsa di Londra.
C’è chi parla di
una nuova “corsa all’oro”, che vede la Cina in pole position, con la massima riserva mondiale in valuta (attorno
ai quattro trilioni di dollari) e la decisione di investirli un po’ ovunque. Le
dimensioni del nuovo organo giustificano certamente l’attenzione e anche le
riserve americane. La Superpotenza non può vedere con compiacimento e neanche
con tranquillità, la nascita di una struttura destinata a trasformare i
rapporti finanziari mondiali in un duopolio al posto dell’attuale monopolio
degli Usa e del dollaro. Gli americani temono che ciò possa indebolire la Banca
Mondiale e i suoi affiliati e hanno fatto presente ai propri alleati il
potenziale destabilizzante della conquista di un ruolo così importante da parte
di un Paese come la Cina la cui economia è estremamente statizzata, poco
“trasparente” e regolata in modo così differente dai Paesi occidentali.
È evidente, però,
che le preoccupazioni non si limitano a questo campo ma investono anche quello
più ampio e complesso dei rapporti di forza politici, anche tenuto conto del
fatto che la Cina non solo non partecipa alle sanzioni contro la Russia ma anzi
manifestamente ne approfitta per allargare e consolidare un asse Pechino-Mosca.
Particolarmente insistite pare siano state le obiezioni recate a Londra, ma non
sono riuscite a far deflettere dalla decisione il premier Cameron, pure stretto
alleato di Washington, non solo nella Realpolitik, ma anche nell’ideologia di
un libero mercato di stile “anglo-americano” particolarmente criticato dai
cinesi.
Ci sono dunque
delusione, critiche, accuse. Dati gli equilibri politici a Washington, è chiaro
che Obama non “merita” tutto il plauso e tutte le “osservazioni” per le
decisioni di un’America i cui poteri vedono oggi una spaccatura fra il
presidente democratico e un’opposizione estremamente aggressiva. Lo si è visto
di recente a proposito di Israele, lo si sta vedendo nei confronti della
Russia, dell’Iran e dei Califfati. Il presidente avrebbe fatto meglio, molto
probabilmente, a ingaggiare un dialogo preventivo con Pechino, i repubblicani,
padroni del Congresso, sono colpevoli di avere impedito una nuova articolazione
del potere fra gli Stati membri dell’Fmi, isolando così la posizione americana.
E per questo non potranno gridare al tradimento della Casa Bianca o dei governi
alleati. Tutt’al più di “corna”.