Guido Colomba
Fino a che punto il giornalismo "explanatory" può soffiare
sulle vele dell'allarmismo? Alcuni esempi illuminanti sullo "stato
dell'arte": 1) Si preconizza (re: Financial Times e New York Times)
l'uscita dell'Italia dall'euro per il dramma del debito pubblico e una forte
volatilità a cavallo del referendum del 4 dicembre. Eppure, unico caso tra i
paesi occidentali più importanti, il possesso estero di Titoli di Stato è
drasticamente sceso ai minimi ( 28,4%) degli ultimi venti anni. La
Banca d'Italia ne possiede il 12% mentre il costo medio
dell'intero stock in circolazione è sceso al 3%. Dunque, il 71,6% del debito
sovrano è in mano agli italiani. 2) Prima delle elezioni Usa la vittoria di
Trump veniva associata ad una discesa del dollaro mentre ora sta accadendo il
contrario (da 1,12 a
1,06) e il saldo attivo della bilancia commerciale italiana già nei primi nove
mesi sfiora i quaranta miliardi di euro. Il secondo miglior risultato europeo
dopo la Germania.
3) E' salita al 78% l'attuazione dei decreti delegati relativi alle leggi di
riforma. Sui 1092 previsti ben 851 sono stati varati. Un fatto mai accaduto nel
passato a sostegno di una efficienza legislativa di tutto rispetto. 4) E' uno
dei migliori del mondo occidentale il rapporto tra il debito dell'Italia
(pubblico e privato) rispetto al patrimonio finanziario ed immobiliare degli
italiani (pari a 2,45 volte) come ha da poco testimoniato il governatore della
Banca d'Italia in una hearing al Parlamento. Come mai sulla stampa estera
questi dati non appaiono? Ovviamente si può replicare che i mercati (ma non i
media se “indipendenti”) fanno il loro mestiere e che la speculazione
internazionale (hedge funds e grandi banche che detengono il 90% del mercato
dei derivati e delle attività "over the counter") ne è il protagonista
assoluto. Ma questo non giustifica, come sostiene Gros-Pietro (re: Sole-24Ore
22 nov.) in tema di mancata integrazione economica UE, che una normativa
prudenziale troppo rigida ed indifferente ai nefasti effetti moltiplicatori
possa accentuare le manovre di borsa sui titoli delle banche italiane bloccate
dalla normativa sul “bail-in” mentre il parametro fondato sui "Risk
weighted assets" favorisce le banche che "praticano un modello di
business orientato ai derivati e alla finanza speculativa" (re: Deutsche
Bank). Di contro, le banche che finanziano l'economia reale debbono operare con
coefficienti di capitale ben superiori. Ed è proprio il caso italiano. Con il
paradosso che il parlamento italiano, al momento della ratifica nel 2012
(governo Monti), non si è nemmeno posto il problema dei tempi previsti dalla
nuova normativa europea sul "bail in". Di fatto, ad un anno di
distanza dal salvataggio (costato ai clienti retail 400 milioni di euro) delle
quattro banche regionali, non si è ancora trovata una soluzione ragionevole.
Una situazione che rende poco credibili quanti ritengono eccessive le critiche
del premier Matteo Renzi verso Bruxelles. Altrettanto poco credibile è il
recente "endorsement" del presidente uscente Barack Obama a favore di
Angela Merkel che, per otto anni, è stata il bersaglio costante della Casa
Bianca per l'errata politica di austerity imposta dalla Cancelliera tedesca
mentre proteggeva e finanziava le banche regionali e alimentava un surplus
commerciale giunto all'8% del Pil in costante violazione delle regole contenute
nel “fiscal compact”.