Nelle scuole di giornalismo americane si insegna agli studenti che l'impegno morale di un giornalista è quello di rispettare l'obiettività, garantendo e coprendo l'autenticità delle fonti, ma, soprattutto, fungendo da protesi mediatica per il suo lettore o spettatore.
Poi il neo laureato scende nell'agone e si cimenta subito con il capo redattore che gli impone di "swim or sink" ovvero "nuota o affonda", oppure "if does not bleed does not fit" (se non sanguina non funziona).
Questa premessa serve per delineare che il mestiere di giornalista in ogni nazione ma soprattutto negli Stati Uniti non è una facile professione al di là delle mitologie che gli stessi professionisti si cuciono addosso.
Una professione affascinante, impervia, che in genere rende poco ma che soddisfa chi abbia voglia di conoscere il mondo rischiando, come purtroppo accade ormai da anni, la propria vita sui teatri di guerra costantemente aperti.
Il neo presidente eletto Donald Trump non tralascia occasione nell'accusare i media di svolgere una azione costantemente corrosiva nei suoi confronti a cominciare dalle primarie.
Ma ha destato una certa sorpresa il fatto che nei giorni scorsi Donald Trump abbia convocato nella sua torre di New York la crema dei direttori responsabili dei principali media e gli anchors TV piu' noti come Wolf Blitzer all'insegna di un "off the record" che non è stato rispettato soprattutto dai membri della sua corte che si sono fatti parte diligente nel diffondere nomi e cognomi dei partecipanti e le ulteriori accuse rivolte dal neo eletto presidente, sia pure in forma colloquiale visto che riceveva a casa sua.
Ben diverso l'invito rivolto dalla direzione del New York Times a Donald Trump il quale si è visto impegnato a partecipare in casa dell'odiato quotidiano di New York ad un incontro con tutta la redazione che gli ha rivolto specifiche domande sui suoi propositi di gestione della cosa pubblica almeno per quanto riguarda i prossimi 100 giorni della sua amministrazione.
Si potrà dire che i dirigenti e gli anchors delle televisioni a cominciare da CNN non avrebbero certo potuto rifiutare l'invito del neo eletto presidente degli Stati Uniti. C'è da dire comunque che al di là delle facili accuse che Donald Trump continua a diffondere contro i media americani e internazionali, grandissima parte del suo successo è attribuibile proprio ai rimbalzi che le sue provocazioni hanno goduto su tutte le televisioni a cominciare da quella Cnn che, secondo osservatori imparziali, è stata volontariamente un ampio megafono per Donald Trump.
Secondo una recente inchiesta di Gallup la valutazione dell'opinione pubblica americana nei confronti del giornalismo quale professione è caduta al 32% con una perdita di otto punti rispetto al 2015.
Questa scarsa considerazione si innesta nella ormai vetusta dialettica su che cosa sia il giornalismo, quale la sua funzione, quali le prerogative di autonomia riservate al professionista, se l'informazione debba essere per forza distinta dal commento, come distinguere il giornalista "trombettiere del re" da colui che invece cerca di informare il suo cliente ovvero il lettore-spettatore, garantendo per quanto possibile obiettività anche se filtrata dalla personale cultura e predisposizione di animo.
Ai facili denigratori del giornalismo i quali vorrebbero che questa professione fosse considerata una sorta di casta caratterizzata da semi dei, si dovrebbe ricordare che i mezzi di informazione altro non sono che imprese le quali devono produrre profitto.
Il giornalista a qualunque titolo lavora in una azienda che ha una missione, un proprio modello di identificazione di cui il professionista deve, piaccia o non piaccia, tenere conto. Ipotizzare una estrema autonomia è illogico e al di fuori della realtà.
Così come non è pensabile che un dirigente della Fiat possa pubblicamente fare dichiarazioni che ledono gli interessi dell'azienda per la quale lavora, non altrimenti e' pensabile che un professionista di un mezzo di informazione possa godere di una illimitata libertà nella gestione del suo lavoro.
Si tratta di un terreno sul quale da sempre si innestano le polemiche ma che dovrebbe essere giudicato sulla base del "common sense", tralasciando le frattaglie deontologiche che troppo spesso nascondono interessi privati in atti di ufficio.
Nel caso in cui al professionista venga richiesto direttamente o in maniera subliminale un comportamento che confligge con con i propri principi esiste purtroppo per lui una sola via d'uscita che e' appunto quella delle dimissioni. Facile a dirsi ma non a farsi. Alterum non datur.
Oscar