Alberto Pasolini Zanelli
Nell’alba successiva alla vittoria
a sorpresa di Donald Trump nelle Presidenziali americane l’espressione più
“sentita” nel mondo politico europeo, almeno in quello dell’establishment, è
stata: “È la fine del mondo”. Naturalmente ci sono state eccezioni nel vasto e
svariato giardino del cosiddetto populismo del Vecchio Continente, ma
l’espressione più coraggiosa l’ha coniata una volta di più Marine Le Pen: “È
l’inizio di un mondo nuovo”. Ha trovato il modo di lanciare la formula in una
occasione non proprio ovvia: le cerimonie di commemorazione dei caduti francesi
nella Prima Guerra mondiale, quella vinta cent’anni fa. Ha depositato il
rituale mazzo di fiori ai piedi di un monumento alla memoria poi, appena
raddrizzata, ha ripreso il suo sorriso raggiante per le notizie americane.
Pochi giorni dopo ha ricevuto un’altra iniezione di buon umore, questa volta in
casa ma altrettanto indirettamente. Ci hanno pensato i suoi avversari più
temuti, quelli dell’“altra” Destra, quella tradizionale. C’erano parecchi
volontari per combatterla e cercare di frenarla una volta di più. Impresa
tutt’altro che impossibile, perché anche la politica francese ha le sue
peculiarità anche bizzarre. Da anni ormai (quasi due decenni) nelle
Presidenziali a Parigi il traguardo dei vecchi partiti non è il primo posto ma
il secondo. Il primato sono disposti a lasciarlo a qualcuno della famiglia Le
Pen, tanto sono sicuri che nessuno avrà la maggioranza assoluta, si arriverà al
ballottaggio e a quel punto l’“altro” candidato, quello opposto all’estrema Destra,
riceverà più o meno tutti i voti dei francesi che in quest’ultima non si
riconoscono e, sia pure a malincuore, si uniranno per l’occasione in una
edizione transalpina dell’“arco costituzionale” inventato in Italia un paio di
decenni fa con la scusa di “tenere fuori” l’Msi che non aveva alcuna
possibilità di vittoria. In Francia la situazione è diversa, come del resto lo
è il sistema elettorale. Nella Quinta Repubblica costruita da De Gaulle, quello
che conta è arrivare primi e già papà Le Pen arrivò in finale, dove tutti gli
altri si raggrupparono sul nome di Chirac.
Adesso molte cose sono cambiate.
L’estrema Destra francese è uscita dall’isolamento, almeno fra gli elettori, si
è liberata in gran parte della sua componente “nostalgica”, si è modernizzata
senza la sua spinta sentimentale verso le passate glorie della Francia.
Soprattutto contro i suoi “nuovi nemici”, che non sono altre patrie come è
accaduto quasi sempre nella Storia, bensì i “senzapatria” della burocrazia
europea e della grande finanza internazionale. Quel che Marine promette e
conduce è una guerra di liberazione contro la “globalizzazione selvaggia e le
frontiere aperte. I popoli vogliono indietro le loro nazioni. Vogliono
riprendere il controllo sui propri destini togliendolo a delle élite che
disprezzano la gente”. Un appello populista più scoperto e sincero che in molti
altri Paesi, che attira il consenso di francesi di tutte le classi sociali ma
soprattutto di quelle meno favorite. I nuovi elettori del Front National
vengono soprattutto da sinistra, dalle fila dei socialisti ma anche, forse
soprattutto, dagli ex comunisti. Nell’ultima prova elettorale le statistiche
dicono che più del 50 per cento degli operai hanno votato per Marine. Quello su
cui lei punta adesso sono i “colletti bianchi” della media borghesia. Quanti lo
sapremo solo dopo l’ultimo turno elettorale, cioè nel maggio prossimo. Già
adesso i dati rivelano che sia la sinistra, sia il centrodestra sono in cattive
condizioni. Soprattutto quest’ultimo, che ha appena incassato i risultati di
una “primaria aperta” voluta dall’ex presidente Sarkozy, che se ne attendeva un
plebiscito come base per il previsto duello finale con Marine Le Pen. Ma invece
è arrivato terzo e quindi è stato escluso anche dal ballottaggio interno,
scavalcato da un ex primo ministro Alain Juppé, che però a sua volta è stato
sconfitto di sorpresa da un altro ex, Francois Fillon. I due si rivedranno
domenica per decidere chi sarà il candidato della Destra classica cui toccherà
l’onore e l’onere di battere i socialisti al primo turno e affrontare Marine
nella finalissima. Il primo compito sembra oggi abbastanza facile dal momento
che l’attuale presidente Hollande è crollato a una popolarità del 4 per cento
in tutto, un record nella storia e probabilmente non si ripresenterà, ma il suo
partito è diviso fra molti aspiranti a una ingrata successione. Più duro sarà,
per Fillon o per Juppé il compito di affrontare la Le Pen, che negli ultimi
tempi ha guadagnato ulteriore terreno e dovrebbe godere nelle prossime
settimane e mesi dell’eredità e dell’esempio dell’America di Trump. Nell’ultima
prova elettorale, le Regionali, Marine ha ottenuto il 27 per cento del voto
popolare ma, a causa del “giochetto” al secondo turno, non ha prevalso in
nessuna regione. Per diventare presidenti un candidato deve avere al primo
turno almeno il 35 per cento, cifra fino a ieri ritenuta troppo alta per
l’estrema Destra. Ma adesso si levano voci che, con preoccupazione, dicono che
lei ce la potrebbe fare. Un ex primo ministro gollista, Jean-Pierre Raffarin ha
detto che “Marine Le Pen può vincere”. E un ex ministro degli Esteri
socialista, Hubert Védrine, ex braccio destro del presidente socialista
Francois Mitterrand lo ritiene possibile come risultato di “un’era di
insurrezioni elettorali contro una élite che non vuole ascoltare la gente”. Il
quotidiano Le Monde ha appena
pubblicato una vignetta che mostra Marine con delle grandi ali e la didascalia
“Adesso può volare”. E fa di tutto per arrivarci. Adesso sta eliminando il suo
cognome “storico”. La candidata all’Eliseo si chiama adesso negli slogan e sui
manifesti Marine e basta.