Alberto Pasolini
Zanelli
È stata la Pasqua
più triste e dolorosa, colma di sangue e di demoralizzazione specifica,
probabilmente in tutto il mondo, sicuramente negli Stati Uniti. Per il numero
di chi ha parlato e per la loro autorevolezza. A cominciare dal presidente
Trump, che negli ultimi giorni sembrava avere perso un po’ la voce, senza
rinunciare a difendersi ma rallentando il ritmo delle sue controffensive e
dando a molti l’impressione di essere particolarmente imbarazzato dagli ultimi
eventi e di ascoltare soprattutto le notizie dal campo di battaglia che oggi in
America sono gli ospedali e i cimiteri. Un’atmosfera che non poteva suggerire toni
meno polemici, senza però dare l’impressione di uno scoraggiamento. L’atmosfera
non era dunque delle più abituali per Donald Trump. Ma i giorni di Pasqua hanno
portato invece al suo “risveglio”, alla “resurrezione” del presidente più
battagliero degli ultimi decenni.
Al centro della
controffensiva una delle tante conferenze stampa di un’epoca che le rende
obbligatorie per la doppia pressione del Coronavirus e della campagna
elettorale. Stavolta Trump non ha guardato l’orologio. Anzi, ha guardato
distrattamente a chi tentava di accorciare l’incontro. Si è difeso, ma ha anche
contrattaccato. Ha dato delle sue decisioni passate spiegazioni chiare e in
buona parte convincenti. Al contrattacco e in difesa, ammettendo gli aggravamenti
non negabili, ma rispondendo con energia quando c’era l’occasione e il bisogno.
La sua risposta alle polemiche è stata serrata ma pacata, ha avuto cioè il tono
adatto per l’occasione. I due argomenti più discussi sono state alcune delle
iniziative alternative, scaturite soprattutto dalla situazione particolarmente
grave di alcuni Stati, soprattutto per bocca dei portavoce dei governatori, che
in varie forme e luoghi hanno rivendicato una restituzione delle loro autonomie
storiche. Fino a questo momento sei Stati hanno avanzato la proposta di un trattamento
differenziato rispetto agli altri 44. Rivendicazioni più autorevoli come quelle
di Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York, che sta emergendo anche
come leader del suo partito, quello democratico, anche dopo che questo ha scelto
finalmente il candidato che dovrebbe sfidare Trump in novembre, almeno se la
situazione non si aggraverà ulteriormente al punto da imporre un rinvio che non
avrebbe precedenti nella storia degli Stati Uniti.
Il candidato designato,
Joe Biden, ha preso due interessanti iniziative. La prima, un abbraccio con il
suo ultimo rivale per la Casa Bianca, il “socialista” Bernie Sanders, che ha
dichiarato solennemente: “La Casa Bianca ha bisogno di Sanders”. Contemporaneamente,
Biden ha cercato di assicurarsi l’appoggio del leader dei democratici moderati,
che è appunto Cuomo che, senza essere candidato, è emerso forse come il più autorevole
del suo partito, anche ma non soltanto perché il suo Stato (New York) sta
soffrendo le più crudeli e numerose conseguenze della tragedia del Covid-19. Che
ha contato finora più vittime di qualsiasi altro Paese della Terra e che giudica
o almeno sospetta che le misure finora prese o annunciate aggravino il peso e soprattutto
ritardino l’inizio della “guarigione”. La Casa Bianca avrebbe finora
contrattaccato con troppa cautela, ma soprattutto in una visione troppo globale.
Di qui l’iniziativa di sei Stati, di recuperare la loro “sovranità” per
adottare misure coerenti delle loro dimensioni e dei loro drammi. Cinque degli
Stati sono sulla costa atlantica, il sesto è la California. Tutti hanno in
comune le dimensioni economiche, essenziali quando l’America tornerà a
concedere strategie che esprimano pienamente il primato e il ruolo essenziale
di questi Stati e degli altri che si prevede condivideranno queste richieste. Trump
non ha finora espresso un sì o un no, ma ha perlomeno lasciato intendere che
esaminerà la richiesta con i suoi più stretti collaboratori.
Dal megadibattito è
emerso altresì, con cautela anche maggiore, il terzo dei problemi immediati. Che
è anzi il primo e riguarda la guerra al virus assassino. Negli ultimi giorni si
erano scambiati critiche Trump ed Anthony Fauci, finora lo stratega principale della
resistenza all’epidemia. Egli aveva lamentato nei giorni scorsi il ritardo con
cui Trump aveva inaugurato i suoi consigli. Ma nello stesso tempo molti altri
collaboratori del presidente avevano lamentato la lentezza e le esitazioni
proprio di Fauci. Con la sua conferenza stampa trasmessa in tutta l’America
dalla Casa Bianca, il presidente ha indirettamente ammesso che qualche cosa si
sarebbe potuto e dovuto fare prima. Ma ha evitato di personalizzare questa critica,
rimangiandosi anche sue recenti esplicite parole per il “generale” della salute
degli americani. Ha detto anzi che per ora non ci pensa neanche a “licenziare”
il suo esperto della salute.