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Usiamo il MES per investire sulla nostra salute – ma senza condizioni


Il dibattito sul Mes – Il prestito Ue può servire all’Italia ma senza condizioni
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 aprile 2020
Mancano quattro giorni alla riunione del Consiglio Europeo che dovrà finalmente decidere le misure dedicate a fronteggiare i più vistosi effetti negativi della pandemia che ci ha travolto.
Nel lungo processo di preparazione di questa riunione, le posizioni dei diversi paesi, pur non raggiungendo l’unanimità, si sono progressivamente avvicinate fino a rendere assai probabile una convergenza su conclusioni non certo rivoluzionarie, ma concretamente utili a rendere meno penose le conseguenze dell’attuale crisi.
Tra le misure ormai scontate vi è la dotazione di 100 miliardi di Euro per dare vita a una specie di Cassa d’integrazione europea. Una decisione di importanza economica, ma soprattutto politica dato che, per anni, si era tentato invano di costruire un intervento unitario nel campo della protezione contro la disoccupazione.
Si deciderà inoltre di comune accordo l’impegno della Banca Europea degli Investimenti in una nuova direzione, soprattutto nel supporto alle Piccole e Medie Imprese.
Sarà quindi all’ordine del giorno il famoso MES, cioè il Meccanismo Europeo di Stabilità, nei confronti del quale si è scatenata in Italia una battaglia politica che ancora non si è placata e sulla quale vale la pena di spendere qualche parola.
Il MES, istituito per fare fronte alla crisi finanziaria, prevedeva prestiti a tassi di favore per i paesi che ne facessero richiesta. Alcune nazioni, come la Spagna, ne hanno tratto profitto. Altre, come l’Italia, hanno preferito non farlo, per non essere soggette ai condizionamenti che il MES conteneva nei confronti dei paesi debitori.
Per una parte non trascurabile dell’opinione pubblica e per molti movimenti politici, il MES è quindi divenuto il simbolo dell’oppressione europea nei confronti degli Stati nazionali. Questo sentimento è ovviamente riapparso quando, arrivata la crisi provocata dal Coronavirus, è ritornata sul tavolo l’ipotesi di fare di nuovo ricorso alle risorse del MES. Di conseguenza le diverse istituzioni europee hanno opportunamente deciso di togliere i condizionamenti che provocavano tanta avversità.
Questa decisione ha tranquillizzato tutti i governi, ma ha rialzato ancor più la tensione nel dibattito italiano, fino a portarla all’interno della stessa coalizione di governo.
Sia chiaro: l’applicazione del MES non risolve certo i nostri problemi perché non si tratta di un aiuto a fondo perduto, ma di un prestito che tuttavia può raggiungere, solo per il nostro paese, la cospicua somma di 37 miliardi di Euro. Il tutto oggi senza condizioni e a un tasso di interesse non ancora precisato ma, probabilmente, assai inferiore all’uno per cento. Questo non solo ci permette la diminuzione del peso degli interessi ma, alleggerendo la nostra posizione debitoria sul mercato, rende meno problematico il nostro ricorso alla finanza internazionale. Inoltre, se si agisce insieme agli altri paesi del sud, diverrà più forte la nostra posizione negoziale nella lunga trattativa per l’avvio di una seppur limitata condivisione del debito attraverso l’adozione dei Coronabond o Recoverybond, diversi di nome, ma equivalenti di contenuto.
Ritornando al MES, si tratta ovviamente di un’opzione positiva a disposizione di tutti i paesi membri, tanto è vero che in nessuno di essi si è aperta alcuna discussione in materia.
Solo in Italia è nata una rissa politica così accesa da mettere a rischio la vita dello stesso governo. Si può anzi ragionevolmente affermare che l’obiettivo della caduta del governo sia l’unica ragione di questo scontro, come si è reso evidente nel voto del Parlamento Europeo.
La situazione è arrivata a questo punto anche perché il governo e le regioni non si sono impegnati a spiegare agli italiani che cosa si può fare con questi 37 miliardi, anche se fossero valide le condizioni (che lo stesso ministro delle finanze francese ritiene inesistenti) che questi soldi debbano essere spesi esclusivamente nel settore sanitario.
Bisogna quindi impiegare i prossimi giorni a fare presente agli italiani che queste risorse, se spese bene, sono l’occasione per rimettere la salute al centro delle nostre priorità, ponendo fine alle progressive ristrettezze degli ultimi quindici anni, con le conseguenze di cui abbiamo dovuto prendere atto in queste ultime settimane. Da un lato occorre rafforzare le strutture ospedaliere ma, dall’altro, è necessario riscoprire che la difesa della salute si esercita prima di tutto nel contesto della vita quotidiana, nella sanità di quartiere e nel lavoro congiunto fra servizi sociali e sanitari.
E si può anche spiegare che solo risorse aggiuntive possono permettere di venire incontro alle sempre più ansiose domande degli italiani di avere in tempi finalmente rapidi gli esami clinici necessari per controllare la nostra salute.
Invece di impegnarsi di fronte agli italiani su come spendere i 37 miliardi, dei quali abbiamo bisogno come il pane, ci si azzuffa sulle identità politiche che nulla hanno a che fare con la soluzione dei nostri problemi.
Certo i nostri negoziatori dovranno essere rigidi sul fatto che le vecchie condizionalità del MES non esistano più, che il tasso di interesse sia veramente conveniente e, ancora più importante, che il prestito abbia una sufficiente durata temporale.
Questa è la strategia negoziale obbligata in vista del Consiglio europeo del prossimo giovedì, ma è ancora più importante spiegare agli italiani se, come e dove gli eventuali risultati positivi di quella riunione verranno impiegati.
Ricordiamoci che la nostra distanza dall’Europa sta aumentando non solo per l’egoismo del nord, ma anche perché, invece di prepararci ad utilizzare le risorse delle quali possiamo disporre, continuiamo a usare quest’opportunità per esclusive ragioni di tattica politica interna. È anni che commettiamo quest’errore: è ora di cambiare rotta.