Alberto Pasolini
Zanelli
È quasi una novità
quasi ignorata. Presi, interessati e da qualche settimana angosciati, gli
americani non si sono accorti di una piccola rivoluzione in cui i loro leader politici
sono coinvolti presumibilmente senza accorgersene. È un fenomeno che si
potrebbe addirittura definire se non “etnico”, almeno culturale: l’espansione
accelerata della presenza delle famiglie degli immigrati italiani nella vita e
nel potere politico degli Stati Uniti. Non sono certamente i neocittadini più numerosi,
neanche antichi e ancora meno famosi per una tradizione specifica. Ma l’elenco
dei posti di “governo” di questa origine si potrebbe estendere fino a un paio
di pagine di almanacco. Anche perché sono loro gli interessati a non mostrare
molto interesse in questa curiosa svolta delle cronache politiche Usa. Venti e
ancora dieci anni fa non succedeva. Adesso chi ne ha voglia constata che queste
seggiole e poltrone (almeno queste) hanno questi occupanti. Che non pare ci
stiano troppo comodi, dal momento che quasi tutte le loro carriere sono contemporanee
a stati di crisi, soprattutto nella politica estera.
Abita a Washington,
figlia di Thomas jr, un democratico, che per due volte è stato eletto sindaco
di Baltimora, quasi una città modello della capitale. La figlia, Nancy, si è
trasferita sul Pacifico, dove l’attendeva un altro democratico di nome Pelosi. Lo
sposò, fu eletta e rieletta a San Francisco con l’80 per cento dei voti e conduce
la Camera con un piglio illustrato da uno degli ultimi episodi: Trump espose i
suoi programmi e ne consegnò il testo alla Pelosi. Che accuratamente, di fronte
all’Assemblea, sotto il naso del presidente stracciò i fogli uno ad uno. Questa
è solo una delle sue più autorevoli “cattiverie” a Trump, che fanno rima con
quelle della famiglia Cuomo: Andrew governatore dello Stato di New York,Chris
eccellente commentatore politico alla tv. Il padre era già stato governatore. Il
sindaco di New York, De Blasio, pure democratico è un “oriundo” molto particolare:
di padre tedesco e madre italiana, ha invertito i cognomi (c’è chi dice perché
nella metropoli vivono – e votano – molti più italiani che tedeschi). In più ha
sposato una donna di colore. È alto due metri e quando partecipa a un dibattito
gli organizzatori devono procurare al suo contraddittore una pedana perché
sembrino pari. La regione attorno a New York ne condivide le inclinazioni
democratiche e fornisce altri governatori o senatori o deputati.
Ma la Legione Italica
fornisce “generali” anche sull’altro fronte. I suoi ranghi, anzi, si sono
infoltiti da quando alla Casa Bianca siede Donald Trump. Egli sceglie spesso
giovani preparati e ambiziosi la cui origine etnica e italiana, riconoscibile,
anzi meridionale, come si riconosce subito dalla lunghezza dei cognomi in un
elenco che si aprì con uno Scaramucci e ha avuto una dozzina di voci dal suono
analogo, che incaricò a turno di scottarsi le dita affrontando problemi come i
rapporti con la Corea del Nord, il Medio Oriente, le contese sui canoni di
scambi nelle esportazioni e le tensioni razziali domestiche. Per le “grane” più
complesse e acute l’uomo della Casa aveva pronta la sua arma segreta: un avvocato
di nome Giuliani, con una esperienza quasi incomparabile e di dimensioni simili
alla sua spregiudicatezza. Fu lui a strappare al Congresso l’assoluzione dell’accusa
che avrebbe potuto dichiarare invalida l’ascesa di Trump alla Casa Bianca. Adesso
forse Giuliani potrebbe permettersi un pisolino. Segretario di Stato Mike Pompeo,
il potente ministro degli esteri.
L’uomo più
impegnato, affaticato e traumatizzato, incaricato di gestire una minaccia più
grave di tutti gli incidenti della Guerra Fredda contro un nemico invisibile,
teso ad avvelenare e distruggere gli americani e gli esseri viventi di tutto il
mondo. Si chiama Anthony Fauci. Discende da un padre napoletano e una mamma siciliana.
C’è chi lo critica. Il presidente Trump difende e protegge come nessuno questo
suo Generalissimo della “Legio Italica”.