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Per una notte o due l’inquilino della Casa Bianca ......


Alberto Pasolini Zanelli

Per una notte o due l’inquilino della Casa Bianca potrà dormire un po’ tranquillo. Nell’ultimo paio di giorni gli sono pervenute due generi di notizie incoraggianti o almeno rasserenanti. Non è detto che durino, ma almeno una è per ora intima, domestica. Le altre vengono da lontano, ma sono egualmente incoraggianti. Quella forse più gradita da Londra: continua ad aumentare il numero di cittadini britannici, militari e civili, che chiedono di arruolarsi nella prima guerra mondiale di questo secolo, quella del mostro senza volto e senza tregua, novità completata dai dati incoraggianti sulla salute del premier di Londra, azzoppato dal Coronavirus appena confermato leader del Regno Unito. Non sarebbe la prima volta che gli inglesi danno buoni esempi agli americani. Assai più concrete, anche di dubbia durata, le altre novità: un po’ tutto il ritmo di aggressione del virus pare stia finalmente rallentando, anche nelle conseguenze politiche. Sembra emergere per la prima volta qualche voce di fiducia e addirittura di conseguenze positive: l’Arabia Saudita annuncia la sospensione della guerra nello Yemen, un respiro nel Medio Oriente.

Non si sa quanto durerà. Molto più concreta la novità emersa in casa: non ci sarà più bisogno di primarie, perché ha annunciato il proprio ritiro dalla competizione Bernie Sanders, ultimo concorrente di Joe Biden nella sfida di novembre con Donald Trump per la presidenza. Non è una sorpresa, è una conferma, più confortante perché non è apertamente annunciata e giustificata con la crisi medica in tutto il mondo, ma soprattutto negli Stati Uniti e a New York, loro simbolo planetario. Più concretamente, Trump si è liberato dell’unico concorrente che aveva gli accenti di una sfida. Sanders aveva “aperto le ostilità” più di tre anni fa, attaccando la persona simbolo della continuità, la democratica Hillary Clinton e concretamente il “centrista” che era stato alla Casa Bianca come vicepresidente per otto anni a fianco di Obama e proponeva una gestione di più tiepida continuità al fine di difendere la “correzione” e allo stesso la continuità “centrista”, prevenendo il conservatorismo accentuato di Trump e al contempo addolcendo con qualche concessione le tentazioni “socialdemocratiche” in casa democratica. Il segnale aperto dalla senatrice Elizabeth Warren, ma ingigantito dal suo collega Bernie Sanders. I democratici portavano una spintarella a sinistra, i repubblicani tradizionali non avevano né la forza né l’audacia di difendere lo statu quo, lo stesso che era finito con il soccombere nel 2016, pur salvando il conteggio dei voti grazie alla Clinton, con i suoi tre milioni in più, ma la sconfitta da Trump.

Quest’ultimo si era presentato per come anche ora è: un uomo di destra quasi estrema, in parte nel programma ma soprattutto nello stile e nelle ambizioni, aperte durante la campagna elettorale nei discorsi elettorali con l’illustrazione del “no” all’immigrazione, soprattutto extraeuropea e il parziale “divorzio” dai vecchi alleati del Vecchio Continente. Trump aveva vinto, anche con meno voti, ma aveva soprattutto incuriosito e attratto una buona metà degli americani e praticamente ammutolito i suoi concorrenti democratici.

Per difendersi e sopravvivere, questi ultimi avevano due possibili strade: lo scontro frontale o il compromesso. Cioè o i due “socialisti” oppure il “progressivo” e moderato erede di Obama. Cioè Joe Biden, figlio prediletto dell’establishment, conservatore moderato, “male minore” per l’America conservatrice. Possedeva la virtù della moderazione, mancava (e manca) l’audacia della “conciliazione. Non aveva la capacità e soprattutto la volontà di accendere i cuori e i cervelli. Aveva però un privilegio: essere solo nel suo angolo. La campagna elettorale democratica si aprì così, con la concorrenza fra un uomo esperto e maturo e come concorrenti un uomo e una donna, dalle idee e dai caratteri molto simili e destinati per questo a farsi concorrenza e dividere, più che spartire, le passioni e i voti degli altri due concorrenti. La sua strategia si è riassunta nella cautela e nel riconoscimento della difficoltà del “cambiamento sociale” che Sanders e la Warren proponevano dividendosi, ma mettendo in primo piano entrambi la meno attraente delle riforme: un vertiginoso aumento delle tasse ai miliardari e radicali trasformazioni di una struttura medica e delle regole scolastiche. C’era anche la proposta di un rinnovamento delle strategie internazionali. Ma anche così i “nuovi” democratici erano “scoperti” di fronte a due concorrenti. Uno ovvio (Trump), un altro che si era coagulato attorno a Biden. Sanders e la Warren avrebbero potuto forse prevalere unendo le forze sotto un’unica candidatura. Non l’hanno fatto, sono stati trascinati dalla concorrenza, hanno finito con il “trascurare” Trump. I risultati si sono confermati. L’ultimo indicava un buon 40 per cento dei sostenitori di Biden con una buona opinione di Trump. Non hanno neppure tentato di coagularsi in una candidatura comune come Sanders alla presidenza e la Warren come vicepresidente. Lo ha impedito forse la coscienza dell’età, entrambi sulla settantina. Non superiore a quella di Biden, che però nel suo campo era solo. La Signora si è “arresa” per prima e ha ritirato la sua candidatura. Il “socialista” Sanders ha sempre respinto l’ipotesi di essere il “vice” del rivale. E solo adesso si è “arreso” ritirandosi ufficialmente dalla gara con in cambio la patente di “amico” da parte del vincitore, contemporaneo a una tacita “dichiarazione di guerra” a Trump. In vista della “finale” che la Costituzione Usa prevede in novembre. Una data che molti mettono ora in dubbio, collocando la priorità sulla “guerra” al mostro del Covid-19. Se questo si indebolirà di qui ad allora. Come alcuni esili indizi delle ultime ore si confermeranno presto.