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Aspettiamo adesso una nuova battaglia......



Alberto Pasolini Zanelli
 della complessa guerra che non sta distruggendo soltanto la Siria ma mette in pericolo quello che è rimasto degli equilibri politici, e forse anche militari, del Medio Oriente. A sparare, stavolta, sono stati i plotoni di esecuzione o le “ghigliottine umane” della macchina della giustizia saudita. A cadere sono state le teste o i corpi di dissidenti, “cittadini” (se il termine si può applicare alle strutture e all’ideologia di uno Stato che è tutto fuorché democratico) la cui “nazionalità religiosa” varia ma che sono quasi tutti riconducibili all’opposizione alla monarchia assoluta che regna a Riad su un trono di petrolio e che si sente minacciata da alcuni rami della giungla “rivoluzionaria” che si estende ben più in là dei confini del regno ma che ne è anche uno dei frutti. Non a caso il più noto e localmente più illustre fra gli stritolati dalle ruote della “giustizia” c’è un chierico che era considerato il principale esponente “legale” dell’opposizione “geologica” di marca sciita, minoritaria nel mondo musulmano, ma maggioritaria in almeno due fra gli Stati arabi più importanti e più coinvolti nella Grande Guerra terroristica: la Siria e l’Iran. Non senza una presenza nella stessa terra di Saud.
Fra le vittime ci sono, infatti, dei “teologi” di una branca che ha a sua volta tanto sangue sulle mani: Al Qaida, che con la strage di New York di quattordici anni fa ha definitivamente trasportato anche in Occidente una guerra civile che nel mondo arabo e dintorni era in corso da decenni e il suo leader, Osama Bin Laden, che però visse e morì da sunnita e non da sciita ed era di origine etnica e religiosa saudita e che, non dimentichiamolo, era già famoso come combattente e leader della guerriglia contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan che dopo la vittoria avrebbe dato vita e preso il nome di talebani. Bin Laden era anche un ribelle nella sua patria e contro il suo re ed è stato da vivo e da morto il simbolo armato di un odio prima di tutto antioccidentale. I “giustiziati” delle ultime ore sono però in maggioranza sciiti, figli di una dissidenza settaria plurisecolare e che ha le sue radici, siamo purtroppo costretti a saperlo anche in Occidente perché ci siamo coinvolti, addirittura nella contesa per la successione fisica di Maometto. I sunniti sono stati generalmente vincenti in questa guerra secolare, ma ciò non ha impedito agli sciiti di acquisire un confronto “temporale” in Iran e in Irak, oltre che in Siria tramite una “fascia” dissidente. Non sorprende dunque che nella guerra attuale che lacera l’intero mondo islamico ci sia anche una importante componente “nazionale”, statuale, oltre che economica. Dove i più forti sono i monarchi sauditi, massimi produttori mondiali di petrolio e da sempre legati da una alleanza obbligatoria all’America.
Le esecuzioni in massa di lunedì scorso sono perciò considerate a Teheran anche un atto di guerra tra nazioni e come tali sono state denunciate dal regime di Teheran per bocca anche dell’ayatollah Khamenei, che ha giurato vendetta soprattutto per l’uccisione di Nimr al-Nimr, leader religioso sciita ma anche ispiratore politico al di fuori dei confini del Regno saudito.
La tensione è dunque salita immediatamente. Era inevitabile che ciò accadesse in tutto il mondo arabo-islamico, con ricadute nel sottobosco terroristico e militare. Le rappresaglie non sono state unicamente giudiziarie né lo saranno inevitabilmente le rappresaglie alle rappresaglie. Ne potrebbero essere coinvolti almeno una decina di Paesi arabi e in altre parti del mondo con una forte presenza islamica. Si sentono minacciati i reggenti degli Emirati, legati alla dinastica saudita da una scelta di campo nazional religiosa più che “teologica” in una guerra antisciita che è soprattutto anti iraniana e che ha come terreno principale di battaglia, naturalmente, la Siria e l’Irak. Vengono da lì i duecentomila morti fra Damasco, Aleppo e dintorni, le rovine di templi plurisecolari, il milione di profughi che già hanno inondato l’Europa. E l’impegno militare e i dissidi politici in Occidente. Ogni peggioramento del clima in quella parte del mondo si riflette, per esempio, nella campagna elettorale americana, dove i “falchi” rimproverano ad Obama la misura per loro insufficiente dell’intervento militare e indeboliscono il Partito democratico, legato ai destini dell’inquilino della Casa Bianca. Ma anche nel loro campo spuntano le dissidenze. Uno dei candidati più forti, il senatore repubblicano Cruz, ha appena chiesto che gli Stati Uniti desistano dal condurre una “crociata” mondiale contro il presidente siriano Assad. Dai nuovi eventi tutto potrà venire, almeno per ora, tranne che una “distensione”.