Alessandro Petti
Dal dolce e
piacevole ‘tempo sospeso’ che caratterizza le nostre vite durante le festività
natalizie e che le divide, con un po’ di fatalità - rispetto ai i nostri
impegni, aspettative, incontri - in un “prima di Natale” e in un “dopo Natale” (quante
volte lo abbiamo infatti ripetuto in questi giorni?), mi ha infine risvegliato la
lettura di un articolo apparso su ‘Repubblica’ di lunedì 11 gennaio, a firma
dello scrittore e giornalista Stefano Bartezzaghi.
L’articolo,
intitolato “Il romanzo dimezzato” e
solo apparentemente ironico, era dedicato ad una collana - denominata “I
distillati” - creata da una casa editrice per lanciare i romanzi più famosi
della letteratura mondiale (i cosiddetti bestseller)
in forma “condensata”. Ognuno di questi
libri - diffuso in edicola al modico prezzo di euro 3,90 – viene cioè non
riassunto, bensì “scorciato” di almeno metà delle sue pagine o anche più, come si
trattasse – scherza Bartezzaghi - di una “mezza porzione” richiesta al
ristorante.
Una collana che,
per di più, promette nella sua presentazione di portarci niente di meno che “al
cuore del romanzo”!
In un’epoca già frettolosa
e compulsiva come la nostra in cui consumiamo e ci viene continuamente fatto
consumare tutto e subito – un po’ come il turismo ‘mordi e fuggi’ senza qualità
che caratterizza quante frettolose visite al Circeo o a Venezia e che poi nulla
lascia in questi posti meravigliosi ricchi di storia, cultura e angoli segreti se
non lattine per terra! –; in un’epoca così, dicevo, se dovessimo “scorciare” e
bruciare subito anche quell’altrettanto meraviglioso ‘tempo’ tutto nostro in
cui - a tarda sera, accesa finalmente la luce sul comodino, o di domenica
seduti rilassati sulla nostra bella poltrona, o costretti a letto da un bel
raffreddore - prendiamo in mano un libro e, leggendo, possiamo finalmente cominciare
a pensare a cose cui non avevamo mai pensato, a esplorare spazi fino ad allora
inesplorati, a farci portare in luoghi dove non eravamo mai stati …, ecco, se
ciò accadesse, avremmo allora perso uno dei più grandi piaceri che si possano
provare.
Perchè l’essenza
della lettura, e della letteratura, sta invece proprio nelle pagine ‘in più’.
In quelle pagine in più che la lungimirante collana editoriale sopracitata ha
tolto. Perché – come ci dice un altro scrittore, Nicola Lagioia, per arrivare “al
cuore” di noi lettori, per arrivare a parlarci con una tale intimità, i
personaggi dei libri – siano essi il capitano Achab di Moby Dick, Zeno Cosini,
Anna Karenina, o quelli di Proust, di Checov nella ‘Steppa’, etc. - hanno
bisogno di raccontarsi per decine, a volte per centinaia di pagine, passando
per digressioni, apparenti zone oscure,, salti nel passato, “che tutti insieme
fanno però scattare il prodigio grazie a cui i libri, nonostante tutto, sono
ancora circondati di magia”.
Con una
meravigliosa battuta Woody Allen, in un suo film, sintetizza tutto quello che
sto cercando di dire in questo modo: “Ho fatto un corso di lettura veloce, sono
riuscito a finire ‘Guerra e pace’ in venti minuti. Parla della Russia”.
Ma c’è poi anche
un’altra cosa da non fare assolutamente, che riguarda sempre i libri, sia che
vogliate annusarne subito le pagine dopo averli comprati – che piacere incredibile
è a volte quel profumo della loro carta… -, sia che ve li siate scaricati su un
pratico book reader elettronico, che a centinaia ne può contenere.
La descrive così,
questa cosa da evitare, Beniamino Placido, uno dei più brillanti cervelli
letterari, dei più arguti, intelligenti e ironici polemisti e critici che
l’Italia abbia mai avuto (e che ho avuto la fortuna e il privilegio di
conoscere): “Evitiamo possibilmente l’errore di pensare che siamo noi a leggere
i libri. No, sono i libri che leggono noi. Ci conoscono, anche se sono stati
scritti cent’anni fa. Ci scrutano dentro. Ci rivelano”.
“Se qualcuno
chiedesse - ha scritto ancor ‘Ben’, come lo amavano chiamare gli amici – a che
servono i libri, a che servono queste storie improbabili e inutili che
raccontano, bisogna avere la forza di rispondere con cortese fermezza: a
niente. Tutt’al più a comprare il tempo. A vivere - come Sharazàd, la figlia
bella e astuta del visir - mille e una notte in più. E meglio. A nient’altro”.