Alberto
Pasolini Zanelli
Il 2016 resterà
forse nella storia americana come il grande anno delle donne. Non solo perché
ci promette almeno il 50 per cento delle probabilità di portarci in regalo il
primo presidente femminile nella storia, ma anche perché non è solo una donna
(in questo caso ovviamente Hillary Clinton) a guidare l’elenco dei candidati
più forti, bensì perché ce ne sono altre, in entrambi i partiti, che conducono
o subiscono una campagna elettorale centrata in buona parte sulla “guerra dei
sessi”, esasperata nei toni, nel vocabolario, nelle indiscrezioni, nella tempra
combattente delle signore e, forse la novità più “piccante” di tutte,
un’esplosione di antifemminismo, maschile e anche femminile. Questa raffica, o
concerto se si preferisce, si inaugurò con una serie di gaffes, anche
grossolane, di un candidato esplicito come Donald Trump, ma è culminato nelle
ultime ore in una “guerra intestina” all’interno del gentil sesso. L’ultimo
episodio, finora, è un duello fra due candidate alla Casa Bianca. Una
democratica e di primissima fila, l’altra repubblicana e classificata nei
sondaggi molto vicina all’ultimo posto. Carly Fiorina ha aperto così il suo
ultimo intervento in un dibattito: “Come tutti voi anch’io sono arrabbiata”.
Poi ha spiegato un perché alquanto originale: “Ma non arrabbiata come
quell’altra donna in gara. Io a differenza di lei sto volentieri con mio marito.
Non faccio come la moglie di quel Bill, non mi tiro dietro in una gara per la
Casa Bianca degli scandaletti da adulteri”.
In realtà Carly
Fiorina aveva motivi suoi per essere di malumore: applicando un “regolamento”
senza precedenti e assai discutibile, la rete televisiva che ha organizzato
l’ultimo dibattito ha deciso di limitare il numero dei candidati secondo le
quotazioni dei sondaggi e di relegare gli ultimi in un orario e un tavolino a
parte: “Quello dei piccoli”. Ma il caratterino irritabile di Carly Fioritina si
era già mostrato prima ed è del resto coerente con la sua non banale biografia,
che comprende una vertiginosa carriera nel mondo degli affari, forse massima
nella storia americana, una altrettanto clamorosa caduta, precedute entrambe da
capitoli eccentrici di geografia. Carly Fiorina, per cominciare, non si chiama
così. Sangue italiano nelle vene non ne ha: il padre è di origine inglese, la
mamma tedesca. Il nome dal suono italico, però, si combina con una esperienza
culturale, questa autentica. Per sette anni la “fiorina” ha vissuto in Italia,
completandovi una parte dei suoi studi e vivendovi con il suo primo marito. E
precisamente a Bologna, in un appartamento di una delle strade dal nome più
tradizionalmente bolognese: via San Petronio Vecchio, il nome del Patrono. Lui
ci ha fatto l’università, lei l’equivalente del liceo, ha studiato l’italiano e
contemporaneamente ha insegnato l’inglese privatamente. Fra l’altro, a un
piccolo industriale che le ha insegnato il gusto dell’imprenditoria. Ha
imparato molto bene, a quanto pare, perché tornata in America si è lanciata in
una carriera senza precedenti: assunta come impiegata in una grande azienda di
computer, in qualche anno è salita vertiginosamente a diventarne il presidente.
Ce la chiamarono perché risanasse il bilancio e lei ci riuscì. A costo, però,
di licenziare trentamila dipendenti. Forse esagerò, perché poco dopo
licenziarono lei. Che, intrepida, si lanciò nella carriera politica,
naturalmente dalla parte degli imprenditori e dunque dei repubblicani. Ci era
nata, del resto. Suo padre era collaboratore ed amico del presidente Nixon, che
presumibilmente lo aveva aiutato nella carriera giudiziaria: fu lui a condurre
la campagna per l’impeachment di Bill Clinton, che quasi riuscì e contribuì a
consolidare gli attuali rancori fra le due famiglie, oltre che partiti. Un’altra
avventura di Carly fu più esotica: accompagnò papà, che fu invitato nel Ghana
per scriverne e spiegarne la Costituzione. Imparò anche ad apprezzare “la
cadenza delle canzoni musulmane”. Fece anche l’attrice, interpretando
addirittura il ruolo shakespeariano di Giulietta.
Aveva già mostrato
un caratterino che non permise di definire come sorpresa la sua candidatura
alla Casa Bianca. E neppure i suoi toni. Candidata nel partito più a destra,
Carly ci si è collocata subito all’ala estrema. In politica estera è un “falco”
che non cede in nulla a Trump o al suo principale rivale Ted Cruz. Pare cercare
accuratamente le occasioni per scagliare frecce contro Obama, dal Trattato con
l’Iran, alla supposta “morbidezza” del presidente nei confronti di Putin:
“Prometto che con il presidente russo non ci parlerò fino a quando non avrò
riportato alla sua massima forza la nostra Sesta Flotta. E bombarda di critiche
anche il Pentagono perché lasciò cadere ed escludere dalla carriera per un suo
problemino giudiziario il generale David Petraeus, “un esempio fulgido della
classe dei guerrieri”. Figuriamoci se ha paura dei prossimi dibattiti, sia che
debba affrontare un uomo esplicito quanto lei, sia se riuscisse – ma è
improbabile – ad entrare in finale e riaccapigliarsi con Hillary Clinton.