Alberto
Pasolini Zanelli
I discorsi annuali
del presidente degli Stati Uniti nell’aula più solenne del Congresso
appartengono di solito alla tentazione di fare della Storia. Si prestano a una
retorica pacata, a un bilancio magari un po’ ritoccato per compiacere gli
ascoltatori. E se ne parla al massimo per tre giorni, poi la polemica politica
riprende come prima. Ancor più effimera è la memoria della rituale risposta del
partito di opposizione, breve, generica, affidata di solito a un esponente di
oscura fama per non offendere nessuno degli aspiranti leader. Tempo tre giorni
per il messaggio, tre ore per il contromessaggio. Il Messaggio è l’ultimo di un
mandato presidenziale, si colora un po’ di più di bilanci o di riferimenti
storici, tende a ignorare il futuro.
Questa volta è
successo tutto il contrario: invece di parlare del passato e chiudere la
propria carriera politica, Obama si è dedicato al futuro e ha pressappoco
presentato un programma che formalmente riguarda l’ultimo anno che gli resta
alla Casa Bianca (dunque proposte legislative che, anche se venissero accolte,
non sarebbero pronte in tempo per la sua firma).
Ma la vera
sorpresa è che la risposta rituale stavolta ha fatto più notizia del messaggio.
Affidata a un esponente decisamente di secondo piano del partito di opposizione,
ha aperto una polemica piuttosto accesa non fra i repubblicani e il democratico
della Casa Bianca, ma fra repubblicani, anzi fra repubblicani conservatori e
repubblicani ultraconservatori, proprio nell’imminenza della “primaria”
inaugurale della campagna elettorale per la Casa Bianca. Il “via” l’ha dato una
rappresentante di una minoranza razziale, , di origine indiana e governatrice
della South Carolina, uno degli Stati più compattamente repubblicani con una
componente razzista. E che, chiamata per rispondere a Obama, si è fatta notare
soprattutto per avere attaccato gli estremisti del suo partito. Senza fare
nomi, ma indicandoli con molta chiarezza, ha preso di mira Donald Trump e Ted
Cruz, il suo rivale diretto sia nel test del 19 gennaio, sia prevedibilmente
almeno fino alla Convenzione nazionale repubblicana di agosto. E ha scagliato
la sua freccia dritta nel bersaglio cruciale: i due, ma anche molti altri
esponenti del partito, nei loro discorsi spandono paura, giocano sulle
emozioni, non servono la causa repubblicana ma neanche l’interesse nazionale.
Sono mercanti di paura e tendono a suscitare sempre di più questo tipo di
emozione. Esattamente quello che aveva detto pochi minuti prima Obama, in toni
però molto più dimessi.
La reazione non è
mancata: “In questi tempi ansiosi – ha detto Nikki Haley – si può sentire la
tentazione di correre dietro al canto da sirena delle voci più rabbiose. Una
tentazione cui dobbiamo resistere. Non è sulla paura che si costruisce il
futuro”. La signora Haley non è candidata alla Casa Bianca e non parteciperà,
dunque, ai futuri dibattiti, ma la sua “denuncia” è stata subito ripresa dai
conservatori di secondo tipo, quelli dell’establishment,
da Jeb Bush in giù, come arma per cercare di bloccare Trump, che ha scatenato
la corsa e Cruz che è il più tenace nell’inseguirlo. Fra i più espliciti, il
leader della Camera Paul Ryan e quello del Senato, Mitch McConnell, che l’hanno
definita “un formidabile avvocato per un partito più giovane, più orientato verso
le soluzioni che verso le invettive: gente di cui abbiamo bisogno per
ristabilire buon senso e verità”.
Altrettanto dure,
come era prevedibile, le reazioni degli ultrà, sia nei mass media più
conservatori, sia fra i candidati alla Casa Bianca tuttora in gara. La più
esplicita un’altra donna, Carly Fiorina, le cui mediocri fortune nei sondaggi la
inducono ad aggrapparsi fino all’ultimo all’estrema destra, sostenendo fra
l’altro che i repubblicani “dalle ginocchia deboli” assomigliano ai democratici.
Con la differenza, sempre secondo la Fiorina, che i democratici “demonizzano il
successo dell’America mentre certi repubblicani la tirano giù con lo
sciacquone”. Gli ultrà rispondono dunque vigorosamente come ci si attendeva da
loro. Anzi hanno subito trovato un nuovo motivo per attaccare Obama e le
“colombe” in genere. Esprimono “indignazione” per le parole con cui il
Segretario di Stato Kerry ha salutato il rilascio dei marinai americani
brevemente detenuti in Iran. Sembrano rimpiangere un’occasione in più per
inasprire le polemiche e ostacolare il funzionamento del trattato appena
concluso fra Teheran e Washington.