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Ascensore sociale bloccato


Guido Colomba
 
Tre punti. (1) I migranti nei porti "solo italiani" ce li siamo voluti noi 
 sottoscrivendo (governo Renzi) l'accordo "Triton" che ha sostituito 
"Mare Nostrum" (governo Letta). Solo per il 2017 questo scherzo ci
 costerà cinque miliardi di euro oltre alle crescenti tensioni sociali che
 ne derivano (jus soli incluso). Altro che flessibilità dello 0,3% concessa
 da Bruxelles al premier Gentiloni sulla manovra fiscale. (2) "Fiscal compact"
 con relativa modifica costituzionale che impone il pareggio del bilancio.
 Sta di fatto che la doppia riforma, bocciata col voto referendario del 4 dicembre
 scorso, non ne prevedeva affatto l'abolizione. (3) Eguale sorte incosciente
 ha riguardato l'accettazione nel 2013 delle norme bancarie sul "bail-in" che
 vietano gli aiuti di Stato e che hanno provocato danni enormi a decine di
 migliaia di risparmiatori. Nel frattempo, gli investimenti pubblici sono 
diminuiti di 40 miliardi (nonostante la riforma degli appalti) e quelli privati
 del 32% nonostante il calo dei tassi di interesse e la QE avviati dalla Banca
 centrale europea guidata da Draghi. Il credito, pur disponibile, non è andato
 all'economia reale. E' difficile in questo quadro dare tutta la colpa alla austerità 
a senso unico imposta dall'Europa. Tra l'altro, è salito da ottomila a novemila
 il numero delle società partecipate da comuni, province, regioni, camere di 
commercio e persino università pubbliche. Molte operano in regime di monopolio
 (re: utilities). Il 40% è in perdita o in pareggio. In merito, la riforma Madia della
 PA è stato un flop gigantesco. Il quadro si va chiarendo. L'Italia si è fatta del male
 da sola accettando vincoli e oneri dall'Europa senza valutare le conseguenze e
 senza prevedere periodi di prova transitori. Per non parlare dello scandalo dei
 derivati acquistati dal Tesoro (sempre dalle stesse banche d'affari straniere) che
 in quattro anni hanno prodotto perdite pari a 24 miliardi di lire. Vogliamo ricordare
 a questi super esperti (Tesoro e Banca d'Italia) che i derivati non sono obbligatori.
 Anzi, una moneta unica non dovrebbe consentire l'esistenza dello spread. Possibile
 che nessun governo riesca a programmare, per ogni nuovo provvedimento, una 
squadra che controlli ogni settimana i risultati ottenuti in termini di "costi e benefici 
e decida le correzioni di rotta"? Il programma di Renzi (abbassare le tasse eliminando
 l'obbligo del pareggio di bilancio ed aumentando il debito fino a sfiorare il 3% per
 cinque anni) non può funzionare se non mette al centro il lavoro per i giovani 
(otre 2,5 milioni) gli unici in grado di far crescere l'economia a ritmi sostenuti. 
Serve un aumento del Pil del 2,5-3,0% all'anno per poter cominciare a ridurre il
 debito pubblico. L'altro flop riguarda le privatizzazioni. Finora le cartolarizzazioni
 degli immobili pubblici, già sperimentate senza successo dai governi Berlusconi,
 hanno costretto a pagare affitti superiori agli interessi richiesti dal riacquisto del 
bene appena ceduto. Come procedere?  L’Italia deve muoversi. Si può fare una 
proposta a Bruxelles, con buone chance di approvazione, con un progetto di lungo
 periodo che punti alla produttività e alla occupazione. In pratica, è mancato finora
 l'utilizzo di tutte le risorse disponibili per investimenti in infrastrutture materiali e 
immateriali ad alto moltiplicatore. Sono questi i finanziamenti che ottengono i 
migliori risultati in tempi brevi. C'è tanta liquidità in giro pronta ad affluire su 
 progetti seri e motivati. Di certo, un Paese senza controlli e senza idee non può 
permettersi il lusso di abbattere le tasse "a pioggia". L'avanzo primario dello Stato, 
cioè un surplus di bilancio prima del pagamento degli interessi sul debito, stimato 
in 765 miliardi (1992-2017) dimostra il salasso fiscale subito dagli italiani cui, 
guarda caso, ha coinciso con la crisi della middle class. L'economia, ha detto Padoan
 all'assemblea dell'Abi, sta finalmente migliorando dopo sette anni di crisi. Tuttavia
 è bassa la percezione di questo svolta (continuano a chiudere negozi e piccole imprese).
 Ciò significa che l'ascensore sociale è tutt'ora bloccato ed aumentano le 
diseguaglianze. E' questo il punto centrale, insieme a quello dei giovani, che 
il governo deve affrontare ascoltando le voci che vengono dal basso.