I controlli mancati – Le banche venete e la tempesta che si poteva fermare prima
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 2 luglio 2017
Il governo italiano ha finalmente preso la necessaria decisione sul salvataggio delle due banche venete che versavano da lungo tempo in una crisi irreversibile e che correvano il rischio di infettare tutto il sistema bancario italiano. La decisione è stata oggetto di molte critiche sia per l’onere che essa potrà comportare sul bilancio dello Stato, sia per il vantaggio che sembra essere derivato a Banca Intesa, che si è assunta il compito di assorbire quello che resta della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca.
Non mi sento di entrare sugli aspetti qualitativi e quantitativi di quest’intervento pubblico anche perché le possibili conseguenze finanziarie di alcune di queste decisioni non possono ancora essere quantitativamente definite. Mi limito solo a sottolineare che l’intervento con denaro pubblico ha costituito una prassi costante degli innumerevoli salvataggi bancari messi in atto in tutti i paesi del mondo durante la lunga crisi economica che abbiamo forse definitivamente alle spalle.
Senza ritornare sugli interventi del governo americano attraverso la così detta TARP, è bene ricordare che l’aiuto pubblico versato alle banche tra il 2010 e il 2014 è stato di oltre il 10% del PIL in Germania e in Olanda ma solo dell’1% in Italia, dove pure molte banche erano oppresse da un peso eccessivo di crediti di assai dubbia solvibilità.
Dati questi punti di partenza l’intervento del governo avrebbe dovuto essere salutato con favore, soprattutto perché ha tolto di mezzo il rischio di fallimenti sistemici che avrebbero potuto non solo danneggiare il sistema bancario italiano ma contagiare anche quello europeo.
Eppure bisogna ammettere che le pesanti critiche negative pervenute da parte germanica sul salvataggio delle banche venete sono del tutto giustificate in quanto “decisamente in violazione dello spirito dell’Unione bancaria e del senso per cui è stata creata”. Il salvataggio delle banche venete ha infatti trasferito sulle spalle dello Stato alcuni oneri che le regole della neonata Unione Bancaria europea mettono ora sulle spalle dei detentori di azioni e di obbligazioni. In parole più semplici, non vengono oggi ritenuti legittimi interventi pubblici che erano invece ammessi negli anni nei quali lo Stato tedesco e quello olandese hanno pesantemente aiutato il proprio sistema bancario. Anche noi italiani dobbiamo evidentemente essere soggetti a queste regole che noi stessi abbiamo sottoscritto. I tedeschi hanno perciò ragione di lamentarsi e di rinforzare la loro resistenza al completamento di un’Unione Bancaria che esige il rigoroso rispetto della comune disciplina.
A questo punto dobbiamo osservare che la Commissione Europea di Bruxelles, che sempre accusiamo di applicare le regole in modo burocratico, ha usato ogni finezza giuridica per permettere al governo italiano di trovare una via d’uscita da un pasticcio che poteva danneggiare in modo irreparabile tutto il nostro sistema economico. Ha quindi agito in modo saggio anche se contro la lettera della legge.
Non mi sento tuttavia di concludere che “tutto è bene quello che finisce bene” perché questa vicenda lascia troppe ferite aperte e ci obbliga a riflettere sul funzionamento del nostro sistema bancario. Ci dobbiamo infatti chiedere perché, nei confronti delle crisi bancarie, non si è agito in tempo, con la stessa tempestività con cui sono intervenuti i governi olandese e tedesco.
Bisogna cioè riflettere sull’efficacia degli strumenti di sorveglianza della Banca d’Italia e sulla debolezza del coordinamento fra il Ministero dell’Economia e la stessa Banca d’Italia.
Sono passati troppi anni dal momento in cui a Siena, in Veneto, nelle Marche, ad Arezzo o a Ferrara la insostenibilità della crisi rendeva inevitabile un intervento sulla banca locale, rispetto al momento in cui si è finalmente cominciato a prendere le necessarie decisioni. Tutto questo non solo ha fatto lievitare il peso degli interventi che si sono dovuti infine adottare ma ha anche gravemente danneggiato l’intera economia italiana, essendo stato causa non secondaria dell’aumento dello spread che ha mantenuto più alti del dovuto i tassi di interesse del nostro pesante debito pubblico.
Accogliamo quindi con un sospiro di sollievo le decisioni prese ma impariamo almeno due lezioni per il futuro.
La prima è che il processo di sorveglianza sul sistema bancario deve essere rapido e incisivo, così come le decisioni del governo, a loro volta, non possono essere continuamente rinviate da pressioni e interessi indebiti.
La seconda lezione è che non possiamo più illuderci che si possa ripetere la misericordiosa eccezione che è stata usata da Bruxelles nei nostri confronti.
Riflettiamo infine sul fatto che, con il salvataggio delle banche venete, il nostro sistema bancario può esprimere un sospiro di sollievo ma che i problemi che stanno alla base della sua persistente debolezza sono ancora presenti e minacciosi e che bisognerà perciò porre progressivamente rimedio all’eccesso dei crediti inesigibili e ai troppo elevati costi di un settore economico che si sta trasformando in modo radicale e che ancora più si trasformerà in futuro.
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 2 luglio 2017
Il governo italiano ha finalmente preso la necessaria decisione sul salvataggio delle due banche venete che versavano da lungo tempo in una crisi irreversibile e che correvano il rischio di infettare tutto il sistema bancario italiano. La decisione è stata oggetto di molte critiche sia per l’onere che essa potrà comportare sul bilancio dello Stato, sia per il vantaggio che sembra essere derivato a Banca Intesa, che si è assunta il compito di assorbire quello che resta della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca.
Non mi sento di entrare sugli aspetti qualitativi e quantitativi di quest’intervento pubblico anche perché le possibili conseguenze finanziarie di alcune di queste decisioni non possono ancora essere quantitativamente definite. Mi limito solo a sottolineare che l’intervento con denaro pubblico ha costituito una prassi costante degli innumerevoli salvataggi bancari messi in atto in tutti i paesi del mondo durante la lunga crisi economica che abbiamo forse definitivamente alle spalle.
Senza ritornare sugli interventi del governo americano attraverso la così detta TARP, è bene ricordare che l’aiuto pubblico versato alle banche tra il 2010 e il 2014 è stato di oltre il 10% del PIL in Germania e in Olanda ma solo dell’1% in Italia, dove pure molte banche erano oppresse da un peso eccessivo di crediti di assai dubbia solvibilità.
Dati questi punti di partenza l’intervento del governo avrebbe dovuto essere salutato con favore, soprattutto perché ha tolto di mezzo il rischio di fallimenti sistemici che avrebbero potuto non solo danneggiare il sistema bancario italiano ma contagiare anche quello europeo.
Eppure bisogna ammettere che le pesanti critiche negative pervenute da parte germanica sul salvataggio delle banche venete sono del tutto giustificate in quanto “decisamente in violazione dello spirito dell’Unione bancaria e del senso per cui è stata creata”. Il salvataggio delle banche venete ha infatti trasferito sulle spalle dello Stato alcuni oneri che le regole della neonata Unione Bancaria europea mettono ora sulle spalle dei detentori di azioni e di obbligazioni. In parole più semplici, non vengono oggi ritenuti legittimi interventi pubblici che erano invece ammessi negli anni nei quali lo Stato tedesco e quello olandese hanno pesantemente aiutato il proprio sistema bancario. Anche noi italiani dobbiamo evidentemente essere soggetti a queste regole che noi stessi abbiamo sottoscritto. I tedeschi hanno perciò ragione di lamentarsi e di rinforzare la loro resistenza al completamento di un’Unione Bancaria che esige il rigoroso rispetto della comune disciplina.
A questo punto dobbiamo osservare che la Commissione Europea di Bruxelles, che sempre accusiamo di applicare le regole in modo burocratico, ha usato ogni finezza giuridica per permettere al governo italiano di trovare una via d’uscita da un pasticcio che poteva danneggiare in modo irreparabile tutto il nostro sistema economico. Ha quindi agito in modo saggio anche se contro la lettera della legge.
Non mi sento tuttavia di concludere che “tutto è bene quello che finisce bene” perché questa vicenda lascia troppe ferite aperte e ci obbliga a riflettere sul funzionamento del nostro sistema bancario. Ci dobbiamo infatti chiedere perché, nei confronti delle crisi bancarie, non si è agito in tempo, con la stessa tempestività con cui sono intervenuti i governi olandese e tedesco.
Bisogna cioè riflettere sull’efficacia degli strumenti di sorveglianza della Banca d’Italia e sulla debolezza del coordinamento fra il Ministero dell’Economia e la stessa Banca d’Italia.
Sono passati troppi anni dal momento in cui a Siena, in Veneto, nelle Marche, ad Arezzo o a Ferrara la insostenibilità della crisi rendeva inevitabile un intervento sulla banca locale, rispetto al momento in cui si è finalmente cominciato a prendere le necessarie decisioni. Tutto questo non solo ha fatto lievitare il peso degli interventi che si sono dovuti infine adottare ma ha anche gravemente danneggiato l’intera economia italiana, essendo stato causa non secondaria dell’aumento dello spread che ha mantenuto più alti del dovuto i tassi di interesse del nostro pesante debito pubblico.
Accogliamo quindi con un sospiro di sollievo le decisioni prese ma impariamo almeno due lezioni per il futuro.
La prima è che il processo di sorveglianza sul sistema bancario deve essere rapido e incisivo, così come le decisioni del governo, a loro volta, non possono essere continuamente rinviate da pressioni e interessi indebiti.
La seconda lezione è che non possiamo più illuderci che si possa ripetere la misericordiosa eccezione che è stata usata da Bruxelles nei nostri confronti.
Riflettiamo infine sul fatto che, con il salvataggio delle banche venete, il nostro sistema bancario può esprimere un sospiro di sollievo ma che i problemi che stanno alla base della sua persistente debolezza sono ancora presenti e minacciosi e che bisognerà perciò porre progressivamente rimedio all’eccesso dei crediti inesigibili e ai troppo elevati costi di un settore economico che si sta trasformando in modo radicale e che ancora più si trasformerà in futuro.