Alberto
Pasolini Zanelli
L’America Latina
sta conoscendo l’ennesima crisi economica e politica. I governi cadono, i
presidenti perdono il posto anche in assenza di elezioni, nella maggioranza dei
casi, almeno finora, con più caos e povertà che non violenza. Il Venezuela non
è un’eccezione per quanto riguarda le cause della crisi, potrebbe diventarlo in
senso negativo se l’attuale contrapposizione dovesse durare e aggravarsi sia
per la tenacia del governo nell’inasprire i suoi metodi di sopravvivenza sempre
più lontani dalla democrazia e se ad aggravare ulteriormente la crisi
continuassero ad accrescersi le misure di boicottaggio dall’estero e
soprattutto dalle altre nazioni dell’America Latina da un lato e dall’altro
dagli Stati Uniti, che hanno reagito all’esito delle cosiddette elezioni di
domenica scorsa preannunciando ulteriori reazioni sanzionistiche.
La situazione
continua dunque a peggiorare e ad avvicinarsi all’abisso di una trasformazione
da una democrazia molto imperfetta a un regime autoritario eventualmente con
l’appoggio delle forze armate. Le ultime notizie di cronaca sono negative ma
tutt’altro che sorprendenti. Fino a qualche giorno fa a Caracas e dintorni
regnava una contrapposizione fra Parlamento e governo: le ultime elezioni
avevano mandato al potere il delfino del presidente “socialista” Hugo Chavez,
consegnando una netta maggioranza parlamentare all’opposizione. Adesso la
contrapposizione si fa ancora più complicata: ci sono addirittura due
parlamenti, quello “normale”, con la maggioranza all’opposizione e un’assemblea
costituente che sarà dominata dai fedeli del presidente Maduro. Ciascuna delle
due assemblee accusa l’altra di essere illegittima e quindi manca un
riconoscimento reciproco. La maggioranza degli elettori sembra schierarsi con
l’opposizione di centrodestra, ma è anche quella che ha prodotto per protesta
una massiccia astensione. Entrambe le strutture parlamentari possono così
vantarsi di rappresentare il Paese, che diventerebbe così l’eccezione
dell’America Latina, dove di recente presidenti e governi sono stati
rovesciati: alle urne come in Argentina, attraverso un diktat della
magistratura come in Brasile e in altri casi per difficoltà economiche.
Il Venezuela ha
conosciuto e continua a conoscere entrambe le malattie contemporaneamente. È
teoricamente un Paese ricco, anche se fino a poco tempo fa unicamente come
frutto di un boom energetico. Quando il petrolio valeva cento dollari al
barile, Caracas poteva permettersi riforme demagogiche e sfrenate con enormi
spese assistenziali, addirittura all’estero mediante le forniture gratuite a
Cuba. Poi il petrolio è precipitato, da cento dollari al barile a meno della
metà, pressappoco contemporaneamente al passaggio dei poteri dal presidente
Chavez al suo erede più o meno imposto Nicholas Maduro, cui mancano sia la
competenza economica, sia una chiarezza politica. Diversi Paesi, soprattutto di
quello che si chiamava Terzo Mondo, hanno conosciuto e conoscono recessioni
anche importanti, che cercano però di contenere. Il Venezuela è uno “Stato
sprecone”, su cui si è abbattuta di colpo la povertà e che non aveva e non ha
strutture in grado di difendersi. Il crollo del petrolio ha così causato
fenomeni analoghi in tutto il campo economico e finanziario, fino al punto di
far mancare generi alimentari, di svuotare i mercati, di far mancare le
medicine agli ospedali e di imporre alla moneta venezuelana, che ha il nome
storico-ideologico del bolivar, in omaggio al rivoluzionario Simon Bolivar,
liberatore di questo e di altri Paesi latinoamericani dal regime coloniale
spagnolo. La svalutazione è arrivata a misure che ricordano quella del marco
tedesco durante la Repubblica di Weimar, quella che provocò l’avvento di Hitler
al potere. Forse anche per questo paragone una parte dei venezuelani e molti governi
esteri temono il peggio e cioè una aperta dittatura. Non ci siamo ancora,
nonostante le misure illegali dell’esecutivo presidenziali e i primi gesti di
violenza dell’opposizione. Sono lontani i tempi felici in cui Caracas poteva
regalare la benzina all’Avana in nome della “solidarietà socialista” e in
cambio di una massiccia iniezione di medici allevati dal castrismo. Adesso il
regime cubano si è ammorbidito e riavvicinato all’America. Trump sembra
convinto di poter salvare la democrazia in Venezuela inasprendo ulteriormente
la crisi economica. Ma non si vedono finora i risultati e, oltre al prezzo del
petrolio, è crollato il valore delle scarse risorse del Paese.