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Ernesto Galli della Loggia
L’Italia è di chi se la vuol prendere, da noi chiunque può fare quello che vuole. E quasi sempre lo fa. Oggi, nei giorni di una torrida estate che sembra conferire a ogni cosa i colori e i calori di un non troppo metaforico inferno, questa è l’immagine che il nostro Paese da di sé. Quella di un Paese in cui il governo e con lui tutti i pubblici poteri appaiono sul punto di perdere il controllo del territorio. Sono parole pesanti, lo so, e non prive anche di precisi echi ideologici, ma a un certo punto bisogna convincersi che la realtà non è né di destra né di sinistra. È la realtà e basta.
Una brutta realtà. Dalla Sicilia alla
Calabria, alla Basilicata, a Napoli, decine di incendiari spinti da
interessi criminali mettono tranquillamente a fuoco vastissime zone
della Penisola. Da giorni, sotto la minaccia delle fiamme, città,
paesi, centri turistici devono essere sgombrati precipitosamente senza
che per ora si sappia di uno solo di questi delinquenti scoperto,
arrestato e incriminato. Nelle periferie delle grandi città, in questa
stagione ancora più soffocanti e orribili, dove i servizi sono perlopiù
al collasso, può capitare benissimo — come capita a Roma — che dopo il
tramonto sia virtualmente in vigore il coprifuoco, che viaggiare su un
autobus la sera rappresenti un pericolo, che il cielo si copra per
giorni e giorni dei fumi tossici dei materiali più inquinanti bruciati
illegalmente; o — come capita a Milano — che interi caseggiati, interi
gruppi di palazzi, e piazze e vie, siano di fatto nelle mani di bande di
malavitosi abituati a farla da padroni.
Dappertutto nelle periferie dei grandi
centri urbani della Penisola regnano praticamente indisturbati lo
spaccio, la prepotenza, le risse continue specialmente fra immigrati.
In questa stagione più che mai le classi meno favorite della
popolazione sentono la loro esistenza quotidiana abbandonata dai poteri
pubblici in una vera e propria terra di nessuno.
Le zone centrali e/o cosiddette residenziali non se la passano meglio.
Sindaci pusillanimi e preoccupati solo dei loro interessi elettorali
(percepiti peraltro con la miopia tipica di una classe di nani politici
quali sono in larghissima maggioranza quelli di questi anni infausti)
hanno lasciato dovunque dilagare le movide
notturne: in pratica la licenza di fare ciò che vogliono rilasciata a
coorti di giovani perlopiù desiderosi di ubriacarsi e di schiamazzare
all’aperto, ma essendo sempre pronti alla rissa, al vandalismo, al gesto
teppistico. Di fatto molte zone centrali (ma non solo) di un gran
numero di città italiane stanno diventando di notte letteralmente
invivibili.
Ma sempre più spesso lo sono anche di giorno.
Numerose strade del centro di Roma sono ridotte ad esempio a una sorta
di suk con decine e decine di luride lenzuola stese per terra a mostrare
impunemente le più varie merci contraffatte, mentre schiere di altri
abusivi non si stancano di circondare dappresso i turisti con la loro
mercanzia. Sempre a Roma può capitare che per tutta l’estate un club
privato organizzi per i festini dei suoi soci illustri spettacoli di
fuochi artificiali e di botti assordanti che si prolungano anche dopo la
mezzanotte: il tutto a poche centinaia di metri dal Comando generale
dell’Arma dei Carabinieri. A Torino, sui lungo Po e dintorni nulla e
nessuno sembra in grado di fermare il commercio clandestino di alcool ad
opera specialmente di rivenditori bengalesi, all’occasione protetti
contro le forze dell’ordine dalla complicità omertosa della collettività
dei loro clienti. A Milano, dopo una certa ora il centralissimo corso
Como si tramuta da luogo di abituale rifornimento della droga in una
specie di zona di caccia libera dove, come riportano le cronache, è
altissima la probabilità di essere aggrediti da bande di maghrebini a
caccia di orologi e portafogli. Sia a Roma che a Torino che a Milano e
in altre decine di città d’Italia, poi, la prostituzione — spessissimo
minorile, spessissimo collegata alla tratta e a reti criminali africane o
est europee — occupa impunemente di notte le zone urbane che più le
aggradano: un fenomeno che per vastità non trova paragone in
nessun’altra città dell’Europa occidentale.
Dappertutto infine, per dirne ancora
una, specie dopo una certa ora le stazioni ferroviarie sono luoghi
frequentabili solo a proprio rischio e pericolo, così come dappertutto o
quasi le corse serali o notturne sui treni vicinali o regionali sono
altamente sconsigliabili per le donne. La realtà, dicevo
all’inizio, non è né di destra né di sinistra, è la realtà e basta. E la
realtà odierna dell’Italia è questa: una realtà che sta scappando di
mano. Di fronte alla quale viene da chiedersi se il ministro degli
Interni — cui spetta principalmente l’onere di provvedere in prima
persona nonché istruendo e sollecitando prefetti, questori ma anche i
sindaci e i corpi di polizia urbana — viene da chiedersi, dicevo, se il
ministro Minniti sia informato adeguatamente di questa grigia realtà
capillarmente diffusa. Se egli si rende conto che agli occhi di un
numero crescente di italiani il loro Paese sta diventando un luogo
sempre più difficilmente abitabile, un luogo tale da apparire
addirittura ostile. Se egli si rende conto che anche l’allarme che in
tanti nostri concittadini suscitano le ondate di immigrati è enormemente
accresciuto dalla loro percezione di questa precarietà ambientale che
monta, dalla sensazione di un degrado dei contesti urbani prodotta da
incontrollati fenomeni di illegalità. Se non gli venga il sospetto,
infine, al nostro Ministro, che pure la difficoltà dell’Italia di farsi
ascoltare quando si tratta d’immigrazione, di farsi prendere sul serio
dai suoi partner europei, forse dipenda per l’appunto dalla sua immagine
di un Paese che, si sa, è abituato al disordine, al tirare a campare,
alla prassi di un comando della legge sempre elastico e contrattabile.
Ma non basta. Di fronte all’Italia così
malmessa di oggi è pure inevitabile chiedersi quale sia stata l’azione
della magistratura. Se essa sia stata effettivamente all’altezza
del suo compito di tutela giuridica della comunità tutte le volte, ad
esempio — le non poche volte, direi — che è parsa indulgere a
interpretazioni dei delitti e delle pene ottimisticamente irreali. Una
magistratura che prontissima e ferratissima nel criticare l’azione
legislativa dell’esecutivo quando si tratta di quella che essa ritiene
la propria sfera d’interessi e di prerogative, è viceversa timidissima
quando si tratta di proporre, lei, leggi o procedure efficaci per
difendere gli interessi elementari dei cittadini.