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Una grossa novità



Alberto Pasolini Zanelli
Una grossa novità, forse la più importante in sette anni di guerra siriana e in generale degli aspetti militari della crisi del Medio Oriente. L’America si ritira da una delle sue più “pesanti” iniziative militari. La decisione di Trump è di circa un mese fa, ma solo adesso è stata annunciata ufficialmente. La Cia, che era da molti anni incaricata in questo programma, smette di finanziare le formazioni ribelli al regime di Assad, o meglio quelle “moderate” che Washington appoggia ideologicamente e che sono state parte integrante dell’ambizioso progetto di Primavera Araba, figlia di una ideologia di “liberazione” cara a Obama e anche e soprattutto ai falchi tradizionali. Si iscriveva in una serie di scelte politiche prima ancora che strategiche che ha nella sua storia la lunga crisi con Cuba e in particolare il tentativo di Kennedy di rovesciare con le armi il regime di Fidel Castro attraverso gli aiuti francamente bellici. Questa volta l’intervento doveva essere più coperto, ma non è riuscito egualmente a capovolgere le sorti del conflitto. È dal 2013 che l’amministrazione Obama esercitava dure pressioni su Assad, ingiungendogli di dimettersi come unico modo di riportare la pace a Damasco. Washington aveva suoi candidati alla successione e buttò sul tavolo il suo asso con un ultimatum che accusava il regime di Damasco di usare armi proibite e minacciava un intervento militare diretto. Quella crisi fu fermata all’ultimo momento attraverso l’azione diplomatica del Segretario di Stato John Kerry, ma soprattutto una soluzione di compromesso tramite la Russia, che si prese carico delle armi proibite, se le fece consegnare da Assad ma al contempo intensificò il proprio appoggio politico e militare al suo regime. Una “trovata” che segnò anche l’inizio di un intervento militare diretto di Mosca in Siria, che riuscì a bloccare la disintegrazione del regime di Damasco e a incoraggiare quest’ultimo a lanciare controffensive, soprattutto contro i jihadisti dell’Isis, che a un certo punto si erano impadroniti di Aleppo e di una vasta fascia geografica nel Nord Ovest del Paese. Finalmente sia la Russia, sia l’America combattevano contro i seguaci e gli eredi di Bin Laden, ma in pratica avevano in campo ciascuno i rispettivi “protetti”. L’andamento delle ostilità però ha favorito sempre di più i seguaci di Assad, almeno nel confronto con i filoamericani.
È stata centrale e forse decisiva la riconquista di Aleppo, che ha risvegliato a Washington i sostenitori di un compromesso. I falchi continuavano ad essere contrari: “Stiamo vivendo in una trappola russa”, ha detto un esperto del Medio Oriente. “In questa maniera Putin ha vinto la guerra in Siria”, sostiene un altro esperto. Ma c’è anche ex consigliere di Obama che ha definito la decisione “un riconoscimento della realtà”. In realtà pare che la decisione sia stata presa un paio di settimane e che sia il frutto di una pagina “segreta” dell’ultimo incontro al vertice tra Trump e Putin, entrambi interessati, sia pure in misura diversa, a ricucire i rapporti fra Washington e Mosca messi in pericolo non tanto da fatti nuovi di tipo strategico, quanto dalle conseguenze psicologiche dell’interminabile “scandalo” della denunciata “ingerenza del Cremlino” nella campagna elettorale Usa in appoggio a Trump, o meglio con il fine di ostacolare la candidatura di Hillary Clinton, considerata particolarmente antirussa. I due leader, in contrasto su diversi problemi a cominciare proprio da quello siriano, si sono occupati nel loro ultimo incontro di costruire una “distensione” a Damasco e dintorni. Putin ha considerato sempre come principale lo scacchiere di Damasco e dintorni, perché Assad è di fatto un “protetto” della Russia in quanto è l’unico Paese mediterraneo che ha aperto dei suoi porti alla flotta russa. I “falchi” di Washington si sono opposti anche questa volta a un compromesso che ritengono intacchi il prestigio americano. L’ambasciatore Usa all’Onu, Nikki Haley, ha ribadito ancora tre mesi fa che “non ci può essere pace finché Assad è capo del governo siriano”. Favorevoli alla distensione erano invece il capo della Cia, Mike Pompeo. Il punto di vista di quest’ultimo pare sia stato accolto da Trump tre settimane fa in un incontro nell’ufficio ovale della Casa Bianca. Che finora non fa commenti, ma che probabilmente si troverà obbligata ad assumere, in una forma o in un’altra, la piena responsabilità (o forse il merito) di questa svolta nella guerra dei sette anni.