Guido Colomba
Il termine "compliance" indica il rispetto delle regole in
piena trasparenza. Un traguardo non facile nel contesto della sfida globale
emersa nel 2008 con lo scoppio della bolla sui mutui subprime. Per averne
un'idea, a nove anni di distanza, ecco quattro esempi contradditori: (a) In
Campidoglio è indagato il 37% dei dirigenti. (b) Dopo una perdita calcolata
da Eurostat in 23 miliardi di euro, finalmente la
Camera chiede più trasparenza (25 luglio scorso) sui derivati
del Tesoro italiano con rendimenti trimestrali e non più annuali ma
"senza arrivare alla pubblicazione dei singoli contratti". (c)
Nella conferenza Stato-Città (palazzo Chigi 25 luglio), gli enti locali (forti
di quasi novemila società partecipate in perenne dissesto) ottengono la
deroga per poter "aumentare le aliquote dei tributi locali" già
lievitate del 154% in dieci anni. Nel frattempo, in barba alla libera
concorrenza, l'Atac da nove anni continua a gestire gli appalti "in
house" senza indire gare (l'Anac sta bloccando questo scandalo). A sua
volta, il Governo, nell'ambito della ennesima "voluntary", punta
sui soldi degli italiani giacenti (non dichiarati) nelle cassette di
sicurezza. Chi li dichiara deve pagare il 43% spalmato in cinque anni
rispetto al 7% medio applicato nella precedente "Voluntary
disclosure/2015". Ovviamente è stato un flop che sta creando un buco di
bilancio di oltre 800 milioni. (d) Pagamenti PA: le imprese aspettano fino a
687 giorni. Eppure fra il 2013 e il 2015, pungolati da Bruxelles, con vari
provvedimenti sblocca-debiti sono stati mobilitati 50 miliardi di euro e
avviata una complicata architettura di prestiti da restituire in 30 anni.
Questi esempi dimostrano, una volta di più, la debolezza e l'incoerenza della
finanza pubblica che rende del tutto casuale e frammentaria la tanto
auspicata "compliance". La confusa gestione delle crisi bancarie è
un esempio eclatante. Due economisti italiani di prima fila - Cesare Imbriani
e Francesco De Pasquale - analizzano (re: "Riciclaggio e
autoriciclaggio, la disciplina di contrasto") l'origine internazionale
della lotta al riciclaggio. Le tante difficoltà della finanza pubblica e dei
conseguenti debiti sovrani, ha "comportato l'inserimento degli illeciti
tributari tra i reati". Il punto di partenza è che il riciclaggio
"impedendo il funzionamento fisiologico dei mercati, altera sia la
concorrenza che l'allocazione corretta delle risorse". Di qui la
classificazione dei paesi in base alla "compliance" antiriciclaggio.
Il nesso evidente tra riciclaggio e corruzione ha rafforzato la
collaborazione internazionale (Onu 2003). Passo dopo passo si arriva alla
poca trasparenza del settore finanziario evidenziato dalla crisi del 2008. I
margini di incertezza permangono a nove anni di distanza ma si è capito
finalmente che il ruolo della "compliance" nelle banche è da
considerare il primo pilastro per la tutela del risparmio e per irrobustire
la stessa gestione delle aziende di credito. I due economisti, Imbriani e Di
Pasquale, sollevano un campanello di allarme sulla coerenza delle normative
di secondo e terzo livello tanto da affermare che, "nel procedere nella
direzione di controlli più efficaci ed efficienti", occorre evitare che
"la regolamentazione, resa necessaria da un evidente fallimento di
mercato, si avvii in una logica di inefficienze" che si autogenerano. A
buon intenditore poche parole... Non a caso Mattarella ha ricordato (26
luglio) che "occorre garantire la reputazione finanziaria del Paese per
confrontarsi con Ue e Bce".
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