Alberto
Pasolini Zanelli
Non sanno più che
cosa tirare fuori. Ma i democratici non possono neanche deporre le armi nella
loro falsa crociata ma vera battaglia contro un inquilino della Casa Bianca che
non riescono proprio a digerire. Lo accusano un po’ di tutto, qualche volta con
fondamento, altre volte senza, ma lui è bravo nel cambiare discorso. Allora
bisogna essere astuti e fantasiosi come lui nel tirar fuori sempre uno scandalo
nuovo o almeno una nuova accusa, naturalmente sempre più indiretta.
L’ultima
rivelazione è la più remota del passato. Risale al 2013, un’epoca in cui se
Trump aveva ambizioni politiche, non lo lasciava indovinare a nessuno, né
dimostrava un particolare interesse o simpatia per la Russia. Con l’eccezione,
però, di quella estate. Era il turno di Mosca per ospitare Miss Universo e la
candidata di casa era ai primi scalini di una arrampicata verso la fama. A
Trump venne in mente di mettersi alla sua ruota. Il mediatore era disponibile.
Attraverso Putin in qualche modo già socio d’affari nell’edilizia e amico di
David Agalarov, una pop star in Russia e con suo padre Aras, imprenditore e con
buone relazioni al Cremlino. Il presidente mandò dunque avanti il proprio
genero con la richiesta di quell’invito, Jared Kushner si mise in contatto per
ottenere un invito alla muliebre cerimonia. L’impresa non riuscì, ma si aprì
una relazione che forse è costata tre anni dopo a Hillary Clinton. Questo
almeno sostengono alcuni dei numerosi organi di media di simpatie democratiche.
Non una superarma, ma uno sparo.
In contemporanea con
una ennesima manovra parlamentare: l’annuncio che il partito di opposizione
ostacolerà il progetto presentato da Putin durante il recente vertice di venti
ad Amburgo che lascia intendere la possibilità di un’iniziativa cibernetica fra
Stati Uniti e Russia, premessa a una vasta iniziativa che farebbe cadere le
accuse di interferenze straniere, nella campagna elettorale dell’anno scorso.
L’opposizione è contro questo programma, esposto dal Segretario di Stato Rex
Tillerson, che ha ribadito che un miglioramento delle relazioni russo-americane
sarebbe nell’interesse di entrambi i Paesi. L’opposizione si è rivolta a un
falco altrettanto noto, uno degli ultimi ambasciatori di Washington a Mosca. Egli
sostiene che gli accordi paritari con il Cremlino, sarebbero soltanto
nell’interesse di Putin, “non nel nostro”, perché genererebbe la falsa
impressione di una comunità di interessi e di un condiviso desiderio di levare
di mezzo le cause di conflitto passato e presente. È vero che i rapporti con la
Russia hanno cominciato a deteriorarsi quando il presidente era George W. Bush
e hanno continuato negli otto anni di Barack Obama, ma le iniziative contestate
sono venute da Putin. È stato lui a occupare ed annettere la Crimea e a
interferire nell’Ucraina orientale a vantaggio dei movimenti separatisti. Obama
non poteva che reagire di fronte a una violazione di frontiere disegnate dopo
la fine della Guerra Fredda e che hanno continuato ad aggravarsi, oggi
soprattutto in Siria. L’interesse della Russia era una cooperazione per una
limitazione della difesa missilistica, che avrebbe posto limiti al sistema di
sicurezza americano e ha contribuito al fallimento della Primavera Araba.
“L’America aveva incoraggiato l’insurrezione contro un vecchio alleato come Mubarak,
mentre la Russia ha sostenuto e difeso anche con le armi il dittatore di
Damasco, Assad, allargando una guerra civile in un conflitto più vasto con la
partecipazione da ambo le parti di organizzazioni terroristiche”. Il
diplomatico riconosce che non fu Putin a scatenare “questo orribile conflitto,
ma le sue iniziative hanno quasi certamente contribuito ad aggravarlo”. Putin,
secondo il diplomatico, ha sì partecipato a qualche iniziativa parziale
(l’ultima è di pochi giorni fa e riguarda un armistizio in una regione della
Siria sotto il controllo congiunto di Washington e di Mosca. Ma non è il primo
tentativo del genere che difficilmente avrà successo, perché i due garanti
continuano ad avere interessi contrastanti in un più ampio quadro politico che
esclude l’accordo fra pari, cui Trump sembra aspirare.