Alberto Pasolini Zanelli
Nella interminabile polemica sulle
misteriose interferenze russe nelle elezioni americane si è aperto un nuovo
capitolo, si è denunciato un nuovo accusato. Di rango: Barack Obama, colpevole,
secondo il suo successore Donald Trump, di avere trascurato le indicazioni sui
fantomatici interventi del Cremlino nella contesa per la Casa Bianca. Un po’ le
nuove accuse le ha presentate proprio l’imputato. Per motivi non ancora del
tutto chiari, Obama ha smentito, con alcuni mesi di ritardo, l’illazione che
lui sapeva fin da mesi prima del voto che il Cremlino si impicciava in qualche
modo delle elezioni Usa, sia nelle primarie, sia più tardi nella campagna
elettorale vera e propria, vale a dire fra Hillary Clinton, candidata del
Partito democratico e lui, Donald Trump, che stava conquistando di sorpresa
prima la leadership della riscossa repubblicana dopo otto anni di potere
democratico. Obama sapeva e non ha fatto niente per impedirlo. Perché? La tesi
dell’accusa partigiana è perché sapeva che se Putin organizzava davvero dei
pasticci, lo faceva apposta per aiutare lui. Dunque, secondo i falchi che
dominano oggi una vasta area del mondo politico Usa, il presidente uscente e
ora uscito o avrebbe anteposto gli interessi di parte all’interesse nazionale
oppure, peggio ancora, avrebbe voluto a sua volta aiutare la Russia facendole
concessioni per predisporre una futura collaborazione.
La denuncia è avvenuta di sorpresa
e ancora più sorprendente sarebbe se fosse sicuramente fondata, il che Obama ha
sdegnosamente smentito, rigettando l’intera responsabilità sui repubblicani.
Chi abbia ragione non è chiaro. Non è escluso, ma è improbabile, che il nuovo
duello che si dovrebbe accendere porti a qualche ennesima rivelazione che
misuri le responsabilità e le divida fra i due leader e i loro partiti. Fino a
questo momento il mistero permane, sia pure nella forma di tanti piccoli
misteri e soprattutto di una raffica continuata di dimissioni e licenziamenti
in quello che dovrebbe essere il vertice della sicurezza a Washington. Ne sono
stati finora vittime esponenti di tutti gli organi incaricati di rendere o
mantenere l’America “opaca” alle interferenze straniere, soprattutto da parte
della ex grande rivale della Guerra Fredda. Alcuni sono stati incolpati da entrambi
gli schieramenti politici. Per esempio Comey, che avrebbe prima agito per danneggiare
la Clinton, poi avrebbe in qualche modo sabotato la presidenza di Trump. Può
esserci qualcosa di vero, ma è sempre più improbabile, nonostante le apparenze,
che si stanno accumulando per mantenere in vita la polemica. I democratici “falchi”
(di solito questo sarebbe il partito delle colombe, perché i falchi sono
abitualmente i repubblicani) accusano Trump di non avere compiuto né seriamente
minacciato rappresaglie contro la Russia, pur avendogli la Clinton “lasciato
sulla scrivania della Casa Bianca” tutte le prove necessarie e avrebbe omesso
di farlo perché sapeva che le manovre del Cremlino sarebbero state messe in
moto per aiutarlo ed è per questo che egli anche adesso ci va troppo piano nel
reagire. Cosa avrebbe dovuto o dovrebbe fare? L’ultimo esempio portato dai columnist di una sinistra oggi nei panni
della destra è la sua reazione all’uso da parte dei siriani sostenitori di
Assad di armi chimiche, cui l’America ha risposto con il lancio di missili. Si
può discutere sulla giustificazione o meno di tale rappresaglia, ma è dubbia la
saggezza di chi prende questo come un esempio di come l’America dovrebbe o potrebbe
reagire contro la Russia, che in Siria è contemporaneamente alleata e rivale
degli Usa.
Quello che si raccomanda è un gesto
che contiene i pericoli o almeno il sapore della Guerra Fredda. Tanto più che
all’opinione pubblica americana e mondiale non sono state fornite né da Mosca
né da Washington spiegazioni che sarebbero fondamentali: in che cosa consistono
questi attacchi alla sovranità elettorale dei cittadini americani. Le
spiegazioni mancano, il che consente sia al presunto colpevole, Putin, sia a
coloro che egli avrebbe danneggiato e che non avrebbero reagito come sarebbe
stato loro obbligo, di avanzare dubbi e perfino ironie: l’uomo del Cremlino ha
parlato di “scherzi” e “buffonate”. Due successivi inquilini della Casa Bianca
avrebbero messo a tacere la cosa durante la campagna elettorale e poi “scoperto”
una serie di colpevoli loro connazionali. Facendo i nomi, ma senza spiegare in
modo comprensibile che cosa sia realmente successo di diverso da una abitudine
che le innovazioni tecnologiche hanno reso purtroppo eccessivamente agevole. E
se la colpa fosse non solo degli hacker ma anche dei costruttori di computer?
Pasolini.zanelli@gmail.com