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Crescente tensione fra Washington e Mosca



Alberto Pasolini Zanelli
Non è più soltanto Medio Oriente. I segnali di una crescente tensione fra Washington e Mosca si moltiplicano e si estendono. L’ultimo si è verificato sopra le acque del Baltico ed è stato, per fortuna fino al limite della sfida ma non oltre, un incontro fra aerei militari. Due apparecchi spia americani hanno incrociato un paio di aerei militari russi e si sono avvicinati per indagare, proprio come era successo due giorni prima a ruoli invertiti, quando un jet targato Mosca è arrivato a pochi metri da uno siglato Washington. Stavolta però il rischio è stato forse maggiore perché a bordo dell’aereo russo c’era un pezzo grosso del Cremlino, il ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Una prossimità rischiosa ma nessun incidente. Una protesta da Mosca, un riconoscimento da parte dei piloti americani che quello russo, dopotutto, aveva rispettato le regole.
Sarebbe soltanto una curiosità, ma non in questa fase dei rapporti fra le due ex Superpotenze. La tensione cresce anche attraverso piccoli incidenti come questo, soprattutto nell’area del Baltico cui da tempo ambedue i governi stanno conferendo un ruolo primario, probabilmente solo simbolico, di una nuova Guerra Fredda che aleggia da qualche tempo, non solo nei cieli e sulla terra di una guerra locale fra Paesi arabi che dura ormai da sette anni e che si sta inasprendo e soprattutto modificando. Sembra affievolirsi il ruolo delle organizzazioni terroristiche jihadiste, ovunque in ritirata sui diversi fronti siriani e si accentuano invece le rivalità dei governi che sembrano volersi affrontare direttamente. L’epicentro è, tanto per cambiare, la Siria ma il ruolo dell’America sembra avere raggiunto i limiti delle precedenti crisi. Negli ultimi cinque mesi Trump ha fatto spostare le truppe americane sempre più vicine alle linee dei fronti in Irak, Siria e Yemen, ma anche in aree diverse come la Somalia e soprattutto l’Afghanistan, dove rinforzi Usa affluiscono da quando la Casa Bianca ha lasciato liberi di decidere i comandi militari. Si accresce la sensazione, inoltre, che tali azioni e prevenzioni siano rivolte più frequentemente e direttamente verso la Russia, la cui presenza in Medio Oriente è egualmente in crescita. Diventa sempre meno promettente il prossimo appuntamento al vertice in occasione della riunione del G20 il 7 luglio ad Amburgo. È un incontro tradizionalmente economico, ma oggigiorno il fattore militare rischia di farsi prevalente. Soprattutto a causa del Medio Oriente, ma anche per le tensioni nel Baltico, dove affluiscono rinforzi da ambo le parti e dove la geografia delle frontiere è particolarmente ristretta. I tre Paesi dell’area, Lettonia, Lituania ed Estonia, sono stati annessi all’Unione Sovietica dal 1939 fino alla dissoluzione dell’Urss e il loro passaggio nell’area occidentale e nella Nato. I governi di Riga, Tallin e Vilnius continuano a chiedere rinforzi agli alleati atlantici, che li accontentano, tenendo conto della bizzarra geografia della zona: Sanpietroburgo è prossima alla frontiera e soprattutto Kaliningrad (la vecchia Koenigsberg, principale o sola base navale russa) è circondata da Paesi della Nato e non ha contiguità geografica con Mosca.
Non sarebbe una situazione nuova se non coincidesse con una crescente tensione ai vertici che ora, oltre a tutto, si scopre condivisa dalle masse in entrambe i Paesi. Trump continua ad essere sotto il tiro spietato dell’opposizione ma resiste, soprattutto garantito da una generale approvazione per la sua linea in politica internazionale, diversa e opposta a certe sue affermazioni preelettorali che avevano fatto pensare a una collaborazione particolare con il Cremlino. Ma altrettanto e più significative sono le indicazioni che vengono dalla Russia, soprattutto con l’approssimarsi delle elezioni. E i sondaggi indicano un rafforzamento della popolarità di Putin, particolarmente per quanto riguarda l’economia e soprattutto la politica estera. Critiche si appuntano alla diffusa corruzione anche nelle sfere governative (uno scandalo miliardario riguarda il primo ministro Medvedey), ma è in continua crescita invece la fiducia in Putin, suscitata soprattutto dalla sua linea negli affari internazionali. L’ultimo sondaggio condotto da un’autorevole agenzia americana rivela un plebiscitario 87 per cento per “il modo in cui Putin rappresenta gli interessi del suo Paese in una sfera globale”. Ed è altrettanto significativo che la sua popolarità sia cresciuta dopo il recupero della Crimea alla Russia. Da allora i sì non sono mai scesi al di sotto dell’80 per cento.