Alberto Pasolini Zanelli
Gli europei passano questo anno
a votare. Quasi tutti, quasi esistessero istituzioni che davvero ci uniscono. In
pochi mesi alle urne ci sono andati o ci vanno tutte le nazioni principali d’Europa,
forse perfino l’Italia. Domani tocca alla Gran Bretagna, che ha appena votato
nel referendum per l’addio all’Europa, poche settimane fa la Francia si è data
un presidente inedito, la Germania deve rinnovare fra non molto il cancelliere
e così via.
Esaminando se stessi, quasi senza
sosta e in assenza di interrogativi chiari, non abbiamo neppure quest’anno la
consolazione di poter guardare le cose dall’alto e chiederci se ci stiamo
allontanando o avvicinando all’America. Non ce lo chiediamo perché una volta
tanto non avrebbe molto senso: l’America si sta affannando, contrastando,
contestando se stessa con un ritmo in pratica superiore al nostro. Il “modello
americano” è in panne. Già da prima, un poco prima, negli ultimi paio di anni e
in un modo che si può definire sommesso, adesso fragorosamente come colta da
vertigine. La sua crisi ha naturalmente un nome, Donald Trump. E anche la
nostra potrebbe chiamarsi così, impropriamente ma con qualche giustificazione.
Spesso un’Europa incerta crede almeno di consolarsi continuando a paragonarsi
con l’America, quella che dovrebbe avere, spesso ha, una ricetta anche per noi.
Che non manchiamo di problemi, ma che non possiamo neppure riassumere in un
nome e cognome. Solo la Germania, sia pure con meno entusiasmo di una volta,
può identificarsi in Angela Merkel. La Francia ha appena tirato fuori dal
cassetto delle sorprese un giovanotto che non era mai stato in primo piano, che
ha oscillato fra i due schieramenti tradizionali, ma che suscita interesse,
simpatia e perfino qualche entusiasmo anche fuori dai confini dell’Esagono. Se si
stia consolidando lo sapremo fra poco quando i francesi torneranno per la terza
e poi quarta volta alle urne, ora per eleggere il Parlamento, in pratica per
dare un primo voto di fiducia all’Uomo Nuovo. La Gran Bretagna la precederà di
pochi giorni in un’atmosfera che potrebbe essere simile se non fossero così
diversi i protagonisti. Il Regno Unito non è mai stato così tanto diviso, al
punto che ogni appuntamento elettorale (e di questi tempi sono molto frequenti)
ha protagonisti diversi ed enigmatici. Alle penultime elezioni per la Camera
dei Comuni il conservatore Cameron vinse in carrozza, poi ebbe la pensata di
indire un referendum per suffragare la sua simpatia per l’Europa che invece fu
clamorosamente bocciata e un neologismo, Brexit, soverchiò e cancellò il suo
nome. Il nuovo eroe fu uno sconosciuto di pochi mesi fa, Nigel Farage,
trionfatore dei no, che poco dopo si dimise da leader del suo partito per
l’Indipendenza del Regno Unito, mentre i conservatori, che si dovevano cercare
in fretta un successore a Cameron, tirarono fuori dal cassetto una donna
esperta, pacata e forse anche equilibrata (dal momento che al Brexit votò no e
a risultato acquisito disse sì). Dovrebbe vincere, anche perché, cosa rara
nella storia britannica, ha dalla sua gli scozzesi, che vogliono essere
indipendenti dall’Inghilterra, ma soci dell’Europa. I laburisti sembrano in
crisi come tutti i socialisti europei, con un nuovo leader che resuscita le
idee e il mito di Marx, ormai dimenticato in seno al suo partito e come sola
consolazione trova un compagno nuovo, proprio meno marxista del mondo: gli
Stati Uniti che si sono messi in mano al personaggio più imprevedibile fra
tutti quelli qui citati, che resuscita il neoliberismo amabile di Reagan per
proporre una versione che ha tutt’altri sapori che dispiacciono già alla
maggioranza degli americani. E che hanno messo in moto un rigetto che unisce
miracolosamente l’Europa e gran parte del resto del mondo, riducendosi così ad
essere lo statista più amato dal re dell’Arabia Saudita e da qualche emiro,
ricomponendo in un coro di no un’Europa che non è mai stata tanto compatta nel
suo sogno di trasformarsi in un’America bis e per il momento si consola
voltando le spalle al bizzarro leader dell’Occidente unito. Quando gli
americani elessero, il suo predecessore, in Europa ci furono ondate di
entusiasmo. Ora si ascoltano cori di ripudio altrettanto improbabili.