Alberto
Pasolini Zanelli
Non si chiama
così, ma l’America è coinvolta e travolta, in questi giorni ed ore, da un
turbine polielettorale. Ufficializzato due giorni fa da un aspirante deputato
che ha presentato la propria candidatura in uno Stato del Sud. Democratico, ma
questo non vuol dire molto per ora. Più significativo è che nel seggio cui egli
aspira si voterà nel 2020. La sua campagna elettorale è dunque in anticipo e il
motivo ufficiale è che così c’è più tempo per farsi conoscere dagli elettori e
soprattutto dai finanziatori, che è più facile attirare quando di quella
partita elettorale si parla molto.
Di qui a una
settimana di questo test “futurista” non si parlerà più, ma intanto i dollari
saranno arrivati. E l’attenzione del mondo politico potrà riversarsi su altre
elezioni: le “primarie” della Camera e del Senato si svolgeranno in novembre di
quest’anno, mentre nel 2020 sarà di nuovo in palio la Casa Bianca. Di solito a
queste cose i politici, soprattutto gli elettori, ci pensano in ordine cronologico,
ma di questi tempi il discorso politico è talmente ingarbugliato che anche i
preparativi di una votazione molto dedotta e futura possono avere conseguenze
quasi immediate sulla polemica in corso da mesi ma vivissima in questi giorni.
In cui stanno succedendo tante cose.
La più vicina agli
interessi e alla vita del cittadino è la “chiusura del governo” in corso da un
mese nella forma di uno “sciopero obbligatorio” ordinato dalla Casa Bianca a
centinaia di migliaia di impiegati pubblici e che include la sospensione del
pagamento degli stipendi, che comprensibilmente innervosisce l’intera opinione
pubblica. Non è la prima volta che ciò accade, ma fra l’uno e l’altro
“esperimento” passano in genere decenni. Questa volta la decisione è stata
presa dal presidente Trump come “rappresaglia” nei confronti della Camera che
ha sancito un “no” all’iniziativa presidenziale di costruire lungo la frontiera
fra Stati Uniti e Messico un muro senza pertugi per impedire l’immigrazione dei
“latini”. Trump lo considera necessario e urgente, ma si tratta di un progetto
molto costoso, per finanziare il quale occorrerebbe o ingigantire il debito
federale o “tagliare” le spese, comprese quelle militari.
La Camera, a
maggioranza democratica e presieduta da una veterana italoamericana di nome
Nancy Pelosi, ha pronunciato un “no” totale ed irreversibile. È pronta a un
“compromesso” che agli occhi di Trump equivale a un veto e definisce
intrattabile. La Pelosi allora ha deciso di impedirgli di tenere nell’aula
congressuale il tradizionale discorso annuo sullo “stato dell’Unione”, evento
che sarebbe senza precedenti. L’uomo della Casa Bianca ha subito reagito con un
controdispetto: impedendole l’uso di un aereo “ufficiale” per una preannunciata
missione in Afghanistan e Pakistan. E così via: un milione di cittadini è non
senza lavoro, bensì senza stipendio, al presidente e alla “presidentessa” sono
proibiti discorsi e iniziative importanti, la gente brontola e i politici
pensano a elezioni in calendario fra due anni.
Tutto questo anche
perché l’attenzione pubblica continua a concentrarsi sempre di più su un
interrogativo decisamente insolito e senza precedenti: la risposta alla domanda
se il presidente degli Stati Uniti sia un “complice” sistematico del presidente
della Russia. Di questo lo accusano, lui ovviamente nega, è in corso
un’inchiesta al più alto livello, si moltiplicano gli avvocati dell’accusa e
della difesa, taluno dei quali chiamato anche sul banco degli imputati, mentre
si moltiplicano le “rivelazioni” più o meno fondate. Si attende un giudizio,
forse anche un processo che potrebbe sfociare anche in un impeachment. Per ora
è l’ipotesi meno probabile, perfino dalla parte dell’opposizione democratica,
ma l’accusa e l’ipotesi distraggono e paralizzano la normale attività governativa.
L’incertezza è accresciuta da talune iniziative sorprendenti di Trump: che è
accusato di aver trasmesso dei segreti a Vladimir Putin, ovviamente nega e
intanto si prepara a un secondo “vertice” con il dittatore nordcoreano Kim
Jong-un. Un elemento in più che semina dubbi. Fra cui uno, tornato di moda in
questi giorni e veramente romanzesco: Trump “non si comporta da presidente” per
il semplice motivo che non ha mai voluto diventarlo. Si sarebbe servito della
campagna elettorale per nutrire di impareggiabile pubblicità le sue iniziative
finanziarie e commerciali, compresa la costruzione di un altro dei suoi
lussuosi e giganteschi hotel, uno dei quali dovrebbe sorgere a Mosca.