Alberto
Pasolini Zanelli
Si è ammazzato
perché non lo ammazzavano. Lo avevano condannato a morte perché aveva ammazzato
qualcuno. Molti anni fa, più di venti. Li aveva passati nel braccio della morte
di un carcere di Las Vegas, in attesa che la sentenza capitale venisse messa in
atto. L’aveva meritata. Forse in tutti questi anni aveva finito col
convincersene anche lui, per venire dell’opinione del suo giudice, che non
aveva molte alternative: Scott Raymond Dozier aveva fatto a pezzi il cadavere
dell’uomo che aveva assassinato, anticipando i metodi consacrati di recente dai
killer di Stato sauditi per far sparire il corpo del giornalista che avevano
assassinato dentro un’ambasciata. Dozier non godeva di alte protezioni
politiche e quindi fu scoperto, processato e condannato all’unica pena
pensabile dato il suo crimine, almeno in un Paese che disponeva ancora della
pena capitale. L’America, o almeno uno degli Stati uniti che ancora non l’hanno
cancellata dai loro codici. I suoi giuristi e i suoi statisti si sono però
impegnati ad aspettare prima di rendere esecutivo il verdetto, tutte le
richieste di revisione. Una “concessione” di coscienza che in pratica introduce
fra le austere mura di una casa della morte la seconda pena come severità nel
catalogo punitivo. Si lascia tempo agli avvocati difensori di avanzare ricorsi,
allo Stato (in questo caso il Nevada) di dire la sua, eventualmente alla giuria
di confermare o modificare la sentenza.
Il personaggio in
questione non attende, però, come un uomo libero, bensì come un condannato a
morte e dunque quello è il suo cupo e severo indirizzo. I legali hanno
compilato le loro carte, la loro richiesta è stata inevitabilmente respinta, a
lui è rimasta l’opzione della grazia. Poi, svanita anche quella, una linea di
speranza da qualche anno inedita: la contestazione sul modo di ucciderlo. Sono
lontani i tempi in cui l’assassino veniva assassinato da un plotone di
esecuzione, molto spesso immediatamente come si fa tuttora in Cina. Negli Usa
le pallottole sono state da decenni eliminate con l’introduzione della sedia
elettrica, un oggetto simbolico per i suoi tempi e per il suo secolo. Lo
sedevano lì, pigiavano un bottone e una raffica silenziosa chiudeva il
procedimento. Ci sono voluti decenni per scoprire e accettare la crudeltà
insita nel metodo, la sua parentela con la tortura. Uno dopo l’altro gli Stati
l’hanno scartata. Alcuni (sempre di più) hanno semplicemente abolito la pena di
morte, altri ci sono rimasti affezionati e hanno introdotto o proposto una
varietà di metodi. Quello accettato dal Nevada consiste in una iniezione con un
cocktail letale di droghe, tra cui il dolorosissimo Fentanyl, che introduceva
nella morte la tortura. Un metodo “adatto” per Dozier.
Ma nel frattempo
era spuntato un protagonista nuovo: la casa farmaceutica che produce il
Fentanyl lo considera una medicina e dunque usarlo per uccidere comporterebbe
una grave riduzione delle vendite. Un legale dello Stato del Nevada rilanciò
opponendosi, segnalando che questo genere di obiezione, se accolta, comporterebbe
l’abolizione totale della pena di morte nello Stato. Si decise dunque di tenere
lontana quella droga e cercarne un’altra con gli effetti desiderati ma senza
quel “dettaglio”.
Dozier veniva
informato degli sviluppi mentre sedeva nella sua cella nel braccio della morte.
E perdeva a poco a poco la pazienza. Si convinse che non avrebbe mai ottenuto
né una revisione della sentenza, né una “grazia” che poteva essere soltanto un
anticipo della sua esecuzione. Si convinse che entrambe le condanne lo attendevano,
ma senza fretta e avanzò una richiesta senza precedenti: chiese il favore di
essere ucciso in fretta. La decisione toccava allo Stato e lo Stato gli negò
questo privilegio. A Dozier non restava che o rassegnarsi o guardarsi attorno.
Si guardò in giro in una cella ermeticamente chiusa, anche senza finestre. Ma
scoprì un piccolo buco nel muro, usato per l’aerazione. Allora tirò via il
lenzuolo dal letto, lo trasformò in una specie di corda e ci si impiccò. Il
medico del carcere, che lo aveva seguito, ricordò che questo cliente aveva
“problemi mentali” e pensava spesso al suicidio, anche perché, riuscendovi,
avrebbe “sconfitto il sistema”. E ha avuto “l’ultima parola”. Uccidendosi, si
era liberato almeno da una attesa ventennale. Si sarebbe, insomma, vendicato.
Adesso tocca allo Stato del Nevada riesaminare il sistema, dai prodotti chimici
alle considerazioni umane. Molti altri Stati americani lo hanno fatto, trasformando
in qualche modo la pena di morte , magari tramite il vecchio plotone di
esecuzione, alla cinese. Oppure semplicemente abolendo la pena capitale. Tra i
Paesi “civili”, gli Stati Uniti sono l’unico, insieme al Giappone, ad avere
conservato questo istituto. Gli altri le hanno detto addio: gli inglesi alla
forca e perfino i francesi alla ghigliottina, “patriottica” quasi quanto la
Marsigliese.
Pasolini.zanelli@gmail.com