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I conti non tornano: se non li aggiusta questo governo, toccherà presto al prossimo

(di Romano Prodi per Il Messaggero)

Ogni volta che un’istituzione pubblica esprime un giudizio fondato sui dati di sua specifica competenza, tale giudizio non solo viene regolarmente contestato dalle autorità di governo ma è accompagnato dall’accusa di essere frutto di un perverso disegno politico. Non ci sorprendiamo quindi che le previsioni della Banca d’Italia sullo sviluppo economico italiano del 2019 siano state subito seguite da un tentativo di delegittimazione nei confronti della banca stessa.

Siamo infatti ormai abituati ad assistere all’attacco contro tutte le istituzioni indipendenti, che pure sono una garanzia per ogni sistema democratico. E gli attacchi di solito continuano fino a che i responsabili di questi organi non sono sostituiti da persone rigorosamente fedeli al governo, che li trasforma da strumenti di garanzia in semplici esecutori di comandi. Alla fine di questo processo ci mancheranno del tutto gli strumenti di controllo ed equilibrio (check and balance) che sono il presidio di ogni democrazia. Strumenti che sono già così fragili in Italia.
Naturalmente anche la Banca d’Italia può sbagliare le previsioni e credo che questa volta le abbia proprio sbagliate. Prevedendo uno sviluppo dello 0,6% la nostra banca centrale, con i dati oggi esistenti, ha probabilmente peccato per eccesso di ottimismo.

Già nel numero speciale di dicembre del Messaggero, tenuto conto dei dati che ci pervenivano dall’estero e delle previste conseguenze delle manovre in corso, ritenevamo probabile una crescita solo dello 0,5%. I numeri che sono in seguito arrivati ci obbligano ad essere ancora più prudenti. La contrazione della produzione industriale tedesca non si limita al settore delle automobili e rende più generale la frenata. Lo stesso sta accadendo per la produzione e il commercio estero cinese. In entrambi i casi siamo ai livelli più bassi degli ultimi anni. L’Italia, a sua volta, ha accentuato il rallentamento del proprio cammino, aggiungendo al deterioramento del quadro internazionale gli effetti della caduta degli investimenti e dei consumi interni.

Le contraddizioni e le incertezze delle decisioni governative hanno impresso un robusto segno meno agli investimenti sia in conseguenza del rinvio di decisioni già programmate sia per la cancellazione di nuove scelte. La fine dei programmi di superammortamento ha fatto il resto, ma è soprattutto il crollo della fiducia degli investitori che obbliga a una più realistica previsione degli andamenti futuri degli investimenti, che ancora restano un fondamentale strumento di sviluppo. Riguardo alla stagnazione dei consumi si potrebbe obiettare che questa è conseguenza diretta dello scarso potere d’acquisto ma emerge dai dati statistici che essa è però accompagnata da una crescita sostanziosa dei risparmi. Se si ha paura per il domani, anche un andamento positivo delle disponibilità finanziarie può non aiutare la crescita dell’economia e dell’occupazione.

Questo vale naturalmente anche per il reddito di cittadinanza, che potrà produrre effetti positivi limitati se non sarà accompagnato da misure capaci di creare fiducia.
Tutte queste constatazioni non possono che portare ad una futura revisione delle decisioni recentemente adottate riguardo al bilancio pubblico. Una crescita che sembra avviarsi verso il tetto massimo dello 0,5% richiede infatti almeno tre miliardi di euro di risorse aggiuntive rispetto alle previsioni precedenti. Tenendo conto del fatto che i faticosi equilibri dell’attuale finanziaria sono stati ottenuti in buona parte rinviando le spese aggiuntive fino alla vigilia delle elezioni europee, è doveroso preparare presto le necessarie misure correttive. Compito non facile dato che la spesa aggiuntiva che rende impossibile il prolungamento del precario equilibrio raggiunto, è soprattutto frutto della misura più popolare, cioè la sostanziosa anticipazione dell’età di pensionamento. L’infamata legge Fornero, pur rivedibile in alcune parti, aveva preparato un equilibrio di lungo periodo nel capitolo della nostra spesa pubblica che più si discosta dagli altri Paesi dell’Unione. Oggi quell’equilibrio non c’è più e i partner europei si preoccupano soprattutto perché il peso delle pensioni progredirà in modo crescente, rendendo sempre più complicati i nostri aggiustamenti futuri.

Credo quindi che l’intero governo debba ringraziare la Banca d’Italia proprio perché, anche se con una sfumatura di incoraggiante ottimismo, ha suonato col dovuto anticipo un opportuno campanello d’allarme per un esecutivo che, ormai, può sempre meno imputare ai suoi predecessori le conseguenze delle proprie decisioni. Il suono di questo campanello è chiaro: i faticosi equilibri raggiunti non possono in ogni caso superare l’autunno ed è quindi indispensabile che il governo si prepari con il dovuto anticipo a questo appuntamento, a meno che non pensi che tali nodi debbano essere affrontati da un altro governo.