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Romano Prodi
Romano Prodi
(Il Messaggero)

Esibire la bandiera/Una proposta per riappropriarci dell’Europa come patria


C’è molto in gioco nelle prossime elezioni europee, alle quali troppi cittadini si avvicinano con un senso di smarrimento e di frustrazione, dimenticando la nostra storia e, insieme ad essa, i contributi che, se camminiamo insieme, possiamo dare per affrontare i problemi di oggi e per riaccendere le speranze per il domani del nostro pianeta così affaticato.

Nel passato l’Europa ha affrontato, attraverso drammi e conflitti, tutti i grandi scontri che insanguinano e dividono il mondo d’oggi, trovando le mediazioni e preparando i passi in avanti che più hanno fatto progredire la nostra tribolata umanità. Ci sorprendiamo delle lotte religiose fra sciiti e sunniti che oggi infiammano il mondo islamico e non pensiamo alla faticosa convivenza che i Paesi europei hanno raggiunto dopo secoli di lotte religiose fra i cristiani. Non ripensiamo al nostro faticoso cammino verso la democrazia intervallato dalle esperienze dittatoriali e dalle guerre che hanno devastato il nostro continente per tutto il secolo scorso, ma alle quali l’Unione Europea ha potuto fare seguire il più lungo intervallo di pace mai esistito nella storia. Senza dimenticare il benessere che abbiamo potuto raggiungere costruendo (caso unico nella storia) un mercato comune che ha unito tra di loro Paesi ripetutamente devastati da guerre commerciali e dalle barriere al libero movimento di uomini e di beni.

Nella frustrazione nella quale siamo immersi dimentichiamo persino la fatica con cui abbiamo costruito lo stato sociale che, pur con i suoi limiti e le sue imperfezioni, resta la più grande conquista della politica mondiale e non riesce ad essere riprodotto nella sua universalità perfino nel più ricco Paese del mondo e non sembra essere un obiettivo prioritario nemmeno per la Cina, astro nascente della politica mondiale.

Sappiamo benissimo che, di fronte alla potenza americana e all’ascesa cinese nessuno Stato europeo potrà da solo conservare quanto è stato conquistato in passato: eppure ci stiamo illudendo che il ritorno alle frontiere nazionali possa essere la soluzione dei problemi e il superamento degli ostacoli che rendono faticoso il progresso del cammino europeo. Facciamo finta di ignorare che i grandi cambiamenti o vengono imposti con le armi o esigono tempo e fatica. Eppure, invece di dedicarci a preparare il futuro, lottiamo per dividerci il presente, pur sapendo che anche il presente non potrà essere conservato se non rafforzando la nostra unità.

Se siamo incapaci di interpretare il ruolo che l’Europa unita può giocare nel mondo, una grande responsabilità grava certamente anche sui responsabili dei governi e dei partiti che più si dichiarano europeisti. I governi hanno sistematicamente anteposto gli interessi elettorali di breve periodo alla politica di coesione necessaria ad assicurare all’Europa il ruolo di protagonista nell’economia e nella politica mondiale.

I secondi hanno regolarmente usato le elezioni europee per garantire un posto ai perdenti delle elezioni nazionali, contribuendo quindi anch’essi a sminuire il ruolo delle istituzioni comunitarie che, dopo avere fatto grandi cose in passato, si sono ridotte a giocare un ruolo sempre minore, senza più avere la forza e il coraggio di affrontare i grandi temi oggi sul tavolo: dalle regole della globalizzazione alle migrazioni, dalle disuguaglianze economiche alle conseguenze delle nuove tecnologie.

Tutti questi limiti, uniti alla sciagurata gestione della lunga crisi economica, hanno allontanato il nostro cuore dalla grandezza e dalla necessità della missione europea. Noi tutti comprendiamo che non vi è alternativa al destino comune: il nostro cervello ci fa capire che le nostre energie si indeboliscono ogni giorno di fronte a superpotenze sempre più forti ma il cervello non basta. Credo proprio (e vi prego di perdonare questa per me inusuale espressione retorica) che occorra qualcosa che riscaldi il cuore e che ci faccia anche visibilmente capire che l’Unione Europea è il nostro destino e non l’oggetto di piccoli disegni politici.

Mi piacerebbe quindi che il 21 marzo noi tutti, nel nostro e negli altri Paesi dell’Unione, esponessimo dalle nostre finestre e sventolassimo nelle nostre strade e nelle nostre piazze milioni e milioni di bandiere europee. Penso al 21 marzo perché quel giorno deve simbolicamente richiamare il primo giorno della primavera europea e perché ci ricorda San Benedetto, che non solo è il patrono d’Europa ma che, nel secolo più buio del disfacimento dell’impero romano, ha fatto appello ai nostri valori comuni per ricostruire l’anima e la stessa economia dell’Europa di allora.
Per scaldare i nostri cuori abbiamo anche bisogno di simboli: la bandiera è il simbolo più comprensibile e immediato che noi possediamo.

Non è un compito facile perché anche la bandiera deve essere fabbricata, distribuita da mille e mille associazioni, accolta da milioni e milioni di persone (#uneuropapernoi) e spiegata a tutti nel suo significato etico, politico, economico e sociale. Non sarà questo un gesto rivoluzionario ma sarà certo utile per capire quanto la scelta o il rifiuto dell’Europa saranno decisivi per il nostro destino futuro. E quindi quanto saranno importanti le prossime elezioni europee.