Romano Prodi
Riflessioni su Davos/ Due ricette per ridurre gli squilibri economici
Domenica 27 Gennaio 2019 di Romano Prodi
Oltre mille aerei privati hanno portato a Davos i potenti della terra che ogni anno discutono su quanto è avvenuto, avviene e avverrà nel nostro pianeta. Forse perché quest’anno alcuni tra i maggiori leader mondiali, a cominciare da Trump e Xi Jinping, hanno disertato l’appuntamento, si è finito con l’attribuire una particolare attenzione al rapporto sulle disparità economiche e sociali che Oxfam prepara ogni anno alla vigilia del summit.
L’analisi della famosa Ong britannica, che basa il suo rapporto su un robusto e selezionato gruppo di esperti, fornisce una serie di dati inquietanti e sorprendenti sull’aumento delle disparità. Fa una certa impressione leggere che 26 individui possiedono la stessa ricchezza dei 3,8 miliardi di persone che costituiscono la metà più povera della popolazione mondiale e che l’1% del patrimonio posseduto dal fondatore di Amazon equivale a tutta la spesa sanitaria di un paese come l’Etiopia, che conta oltre cento milioni di abitanti.
Nello stesso rapporto si mette in rilievo quanto questo sia frutto della politiche che sono state applicate negli ultimi decenni. Secondo Oxfam la ricchezza è tassata in modo trascurabile: solo il 4% del gettito fiscale mondiale proviene dalle imposte patrimoniali.
Le diminuzioni delle imposte per i redditi più elevati (peraltro approvate dalla maggioranza degli elettori) hanno fatto il resto, dato che l’aliquota più elevata di imposte sul reddito per le persone fisiche nei paesi a più alto reddito è passata dalla media del 62% nel 1970 al 38% nel 2013 e sta ancora calando. Il tutto porta all’assurdo che in paesi come la Gran Bretagna e il Brasile il 10% più povero della popolazione viene gravato, in proporzione del proprio reddito, da un peso fiscale maggiore rispetto al 10% più ricco. Il tutto frutto di una precisa dottrina: da quando negli anni ottanta il Presidente Reagan ha cambiato la politica mondiale con la sua dottrina del fisco minimo, negli Stati Uniti l’aliquota più alta sui redditi delle persone fisiche è passata dal 70% al 37%, senza tenere conto delle varie scappatoie che la globalizzazione dei mercati finanziari ha reso disponibili. Oxfam sottolinea infine, con particolare accento, la permanente condizione di inferiorità delle donne sia come livello di reddito che come mole di lavoro.
Sono dati drammatici anche perché questi squilibri vengono quasi ritenuti una caratteristica scontata e inevitabile della condizione umana. Il rapporto Oxfam reagisce contro questo sentimento di rassegnazione non solo mettendo sotto processo queste politiche e indicando l’evasione e l’elusione fiscale come un ostacolo fondamentale alla ricostruzione di un necessario equilibrio ma, con una tesi assai sorprendente, indica nei servizi pubblici “universali e gratuiti” il rimedio principale per ristabilire un minimo di giustizia distributiva. Su questo tema non può non destare sorpresa l’accusa che viene esplicitamente rivolta alla Banca Mondiale e alle altre maggiori organizzazioni internazionali, di avere preso posizione in favore di servizi pubblici “limitati e ridotti al minimo”, privilegiando il settore privato nei confronti del pubblico. A questa affermazione segue una critica fortissima nei confronti della prevalente dottrina secondo la quale salute, scuola e politica abitativa debbano essere regolate da meccanismi di mercato e la protezione sociale debba essere limitata alle persone poverissime.
Lo strumento più efficace nella lotta contro la disuguaglianza, oltre quello fiscale, diventa per Oxfam la gratuità e l’universalità dei servizi pubblici perché solo in questo caso si garantisce il futuro delle categorie più povere. Per evitare dubbi di interpretazione il rapporto si spinge a affermare che anche le esperienze di collaborazione fra pubblico e privato (i cosiddetti PPP) non rappresentano un’alternativa valida alla fornitura degli stessi servizi da parte del governo ma, al contrario “accentuano la disuguaglianza e prosciugano le entrate governative”.
Si tratta quindi di un rapporto che contiene un messaggio fortemente contrario non solo alla dottrina neoliberista secondo cui il mondo diventa migliore solo se ognuno porta avanti esclusivamente il proprio interesse, ma anche contro la diffusa convinzione che i servizi forniti dai privati siano più efficienti rispetto alla loro erogazione da parte dello Stato.
Non risulta ovviamente che il rapporto Oxfam abbia influito sulle conclusioni del summit di Davos, dove si è continuato a dibattere sui tradizionali aspetti della politica e della finanza. Tuttavia la durezza di tale rapporto conferma e spiega perché, negli ultimi anni, si vada diffondendo l’opinione, anche da parte di significativi esponenti dei ceti privilegiati, che gli squilibri attuali ci portino inevitabilmente verso un punto di rottura. È meglio riconoscerlo, adottando le opportune correzioni prima che sia troppo tardi.
L’analisi della famosa Ong britannica, che basa il suo rapporto su un robusto e selezionato gruppo di esperti, fornisce una serie di dati inquietanti e sorprendenti sull’aumento delle disparità. Fa una certa impressione leggere che 26 individui possiedono la stessa ricchezza dei 3,8 miliardi di persone che costituiscono la metà più povera della popolazione mondiale e che l’1% del patrimonio posseduto dal fondatore di Amazon equivale a tutta la spesa sanitaria di un paese come l’Etiopia, che conta oltre cento milioni di abitanti.
Nello stesso rapporto si mette in rilievo quanto questo sia frutto della politiche che sono state applicate negli ultimi decenni. Secondo Oxfam la ricchezza è tassata in modo trascurabile: solo il 4% del gettito fiscale mondiale proviene dalle imposte patrimoniali.
Le diminuzioni delle imposte per i redditi più elevati (peraltro approvate dalla maggioranza degli elettori) hanno fatto il resto, dato che l’aliquota più elevata di imposte sul reddito per le persone fisiche nei paesi a più alto reddito è passata dalla media del 62% nel 1970 al 38% nel 2013 e sta ancora calando. Il tutto porta all’assurdo che in paesi come la Gran Bretagna e il Brasile il 10% più povero della popolazione viene gravato, in proporzione del proprio reddito, da un peso fiscale maggiore rispetto al 10% più ricco. Il tutto frutto di una precisa dottrina: da quando negli anni ottanta il Presidente Reagan ha cambiato la politica mondiale con la sua dottrina del fisco minimo, negli Stati Uniti l’aliquota più alta sui redditi delle persone fisiche è passata dal 70% al 37%, senza tenere conto delle varie scappatoie che la globalizzazione dei mercati finanziari ha reso disponibili. Oxfam sottolinea infine, con particolare accento, la permanente condizione di inferiorità delle donne sia come livello di reddito che come mole di lavoro.
Lo strumento più efficace nella lotta contro la disuguaglianza, oltre quello fiscale, diventa per Oxfam la gratuità e l’universalità dei servizi pubblici perché solo in questo caso si garantisce il futuro delle categorie più povere. Per evitare dubbi di interpretazione il rapporto si spinge a affermare che anche le esperienze di collaborazione fra pubblico e privato (i cosiddetti PPP) non rappresentano un’alternativa valida alla fornitura degli stessi servizi da parte del governo ma, al contrario “accentuano la disuguaglianza e prosciugano le entrate governative”.
Si tratta quindi di un rapporto che contiene un messaggio fortemente contrario non solo alla dottrina neoliberista secondo cui il mondo diventa migliore solo se ognuno porta avanti esclusivamente il proprio interesse, ma anche contro la diffusa convinzione che i servizi forniti dai privati siano più efficienti rispetto alla loro erogazione da parte dello Stato.
Non risulta ovviamente che il rapporto Oxfam abbia influito sulle conclusioni del summit di Davos, dove si è continuato a dibattere sui tradizionali aspetti della politica e della finanza. Tuttavia la durezza di tale rapporto conferma e spiega perché, negli ultimi anni, si vada diffondendo l’opinione, anche da parte di significativi esponenti dei ceti privilegiati, che gli squilibri attuali ci portino inevitabilmente verso un punto di rottura. È meglio riconoscerlo, adottando le opportune correzioni prima che sia troppo tardi.