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Cosa potrebbe succedere...

Antefatto

Questo articolo è scritto per due categorie di lettori.

Anzitutto le centinaia di amici italiani e americani da una parte e dall'altra dell'Atlantico che si sono cimentati nel ricordarmi con affetto. Gliene sono grato immensamente.

Poi ci sono i lettori normali ai quali ho voluto indirizzare questa storia che ho vissuto personalmente con tutti i limiti che una esperienza del genere può comportare.

Noi giornalisti siamo costantemente impegnati nel rimestare nel bugliolo dell'informazione quotidiana notizie negative o luride.

Perché, secondo chi gestisce i media, non fa notizia il cane che morde il padrone ma viceversa.

Quella che segue è una sintetica nota di una pagina di ottima sanità americana vissuta dal vostro redattore nei giorni scorsi.
(il guanciale rosso serve per evitare movimenti sbagliati delle braccia)

Prefazione

Nonostante l'età avanzata il vostro redattore e' un appassionato di tennis giocato soprattutto in singolo.

È successo nei primi di febbraio che mi sono dovuto fermare due tre volte per mancanza di fiato.
Ovviamente sono andato da un cardiologo che mi ha fiondato ad un collega per una angio scopia.

Speravo che nel corso di questa ispezione arterica, il medico di turno decidesse di applicare i soliti stent per allargare i passaggi più occlusi.

Invece mi ha detto che non poteva operare in questo senso perché le occlusioni nelle mie arterie erano dell'85 90% dislocate in parti che non garantivano l'applicazione degli stent.

Pertanto l'unica soluzione era quella di sottoporsi ad un triplice by pass.

A questo punto, dopo un consulto approfondito con il mio cardiologo, era chiaro che l'unica soluzione per mettere fine ai miei problemi respiratori era quella di cercare una struttura ospedaliera specializzata e di conserva un medico adeguato.

Nella Washington metropolitana il Washington Hospital Center è riconosciuto come il migliore nosocomio specializzato nel trattamento e chirurgia cardiaca.

Questo ospedale e' quasi a fianco della Catholic University e per raggiungerlo dopo una mezz'ora di auto partendo da Georgetown, bisogna attraversare un'area nella quale 20 anni fa neanche i taxi volevano portarti.

Adesso anche questa area della capitale federale è stata risanata soprattutto partendo dal sindaco Anthony Williams al quale va il merito di aver ridato un volto civile alla capitale degli Stati Uniti.

Quanto al medico di questa struttura ospedaliera mi sono focalizzato sul dottor Ammar Bafi, iracheno,
la cui pagina personale è saturata da centinaia di reviews entusiastiche.

Il che non esclude, ovviamente, che anche altri medici della squadra siano considerati talenti professionali.
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L'Operazione

I Bartoli, riunitisi da diversi continenti e nazioni (Marco dall'India e Max del Messico) raccontano che il dottor Bafi terminato l'intervento li ha avvicinati condensando la propria soddisfazione in un "terrific", in quanto era riuscito a non utilizzare la pompa per la circolazione esterna del sangue.

Per i forti di stomaco consiglio di andare a vedere questo video sulle tecniche dell'operazione.

https://www.webmd.com/heart-disease/video/coronary-bypass
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La Gente

Durante i quattro giorni trascorsi in una bella camera nella unità NE, sono stato nelle mani di almeno venti tra infermiere superspecializzate, personale di camera, eccetera.

Le manifestazioni di simpatia che ho ricevuto soprattutto perché italiano, mi hanno confermato nella convinzione che la nostra Italia gode qui in America di una incredibile considerazione.

Il capo anestesista (un indiano di bella presenza) mentre stava per addormentarmi, ha raccontato che lui in Italia è stato non solo nelle tradizionali località turistiche ma anche in decine di piccoli centri, molti dei quali sconosciuti a chi scrive.

Tanto per essere chiari non è che si possa dimenticare che il personale front line è sottoposto ad un consistente training.

Ma per quanto mi riguarda la recita era ridotta al minimo mentre emergeva una istintiva simpatia nei confronti dell'italiano ricoverato e dei componenti la sua famiglia, sparsi per il mondo ed arrivati li ad assistere il vegliardo.

Spagna, Togo, Camerun, Etiopia, eccetera… Tutti americani, magari di prima generazione, ma impegnati nell'offrire il meglio di sé.

"Buongiorno!", dice una bionda super infermiera entrando nella mia camera per controllare il mio stato fisico.

"Buona sera, è meglio dire visto che sono le sei del pomeriggio!" Questa la mia replica divertita.

Inizia una simpatica conversazione in italiano che la signora ha appreso quando ha soggiornato a Roma dai cinque ai 15 anni.

Un seminarista di nome Alex, 25 anni, è in giro per dispensare la Comunione e si rivolge al sottoscritto in un buon italiano che ha studiato al college in Virginia e ripulito in un mese di
permanenza a Roma, "fantastica città".
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Si dice in genere che è meglio non parlare delle proprie esperienze ospedaliere, specialmente quando si inizia una lunga e tormentosa convalescenza.

Al di là della scaramanzia ho voluto portare ai miei lettori questa testimonianza per il poco che potrà servire.

Un cordiale saluto da Oscar (confinato in una poltrona, sperando che la lunga convalescenza vada a finire bene).