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È guerra calda.....


Alberto Pasolini Zanelli

È guerra calda, ormai, a proposito dei giudizi sulla Guerra Fredda o su quello che ne rimane. Nell’ultimo paio di giorni le operazioni sono state condotte con pari intransigenza dalla Casa Bianca, dagli esperti militari e dal Congresso. Il presidente è stato preso di mira in un tiro incrociato dai “falchi” e dalle “colombe”, dall’opposizione democratica e dai suoi colleghi di partito repubblicani. La prima bordata di critiche è venuta a proposito dell’ultimo annuncio di Trump, cioè la sua decisione di ritirare le truppe americane dall’Afghanistan; un annuncio seguito dopo poche ore dalla conferma della sua intenzione di riportare a casa anche il contingente Usa dalla Siria. La prima ondata di critiche è venuta dagli esperti militari (che oggi si autodefiniscono “di sicurezza”) che lo hanno bollato come incompetente. Trump ha reagito alla sua maniera, definendo questi “uomini di guerra” pressappoco come bambini che “dovrebbero tornare a scuola”.

Ma i “cannoni” sono rimasti puntati sulla Casa Bianca e poche ore dopo è arrivata una nuova bordata, che questa volta ha investito due altre intenzioni presidenziali: il vertice con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un e una sospettata maggiore “calma” nei confronti dell’Iran. Questa volta, inoltre, gli “specialisti” hanno ottenuto l’appoggio del mondo politico, cioè soprattutto del Congresso dove, una volta tanto, le critiche sono venute dai repubblicani, naturalmente appoggiati dai democratici. Il documento di disapprovazione del ritiro delle truppe dalla Siria e dall’Afghanistan è stato approvato con 68 voti contro 23. Il documento era un emendamento scritto dal senatore McConnell e approvato anche da una maggioranza del partito suo e di Trump. Una convergenza che si era verificata poco prima su un tema ancora più delicato: la proposta di porre fine all’assistenza militare americana per la guerra condotta dall’Arabia Saudita nello Yemen, anche come punizione per l’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Ma questo riguardava gli stanziamenti. Le altre due bacchettate sulle mani di Trump concernono direttamente le truppe. L’uomo della Casa Bianca vorrebbe riportare a casa duemila soldati dalla Siria e settemila dall’Afghanistan. L’emendamento approvato dal Congresso denuncia invece “un progetto precipitoso di entrambi i Paesi che potrebbe mettere a rischio dei risultati ottenuti finora con grande sforzo e anche e soprattutto la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Invertendo la nostra tradizione e la necessità per l’America di continuare a mantenere in vita una coalizione globale contro il terrore e in questo contesto aiutare i nostri alleati locali. L’Isis e Al Qaida non sono stati sconfitti e quindi abbiamo bisogno di continuare nel nostro sforzo”.

Un giudizio sulla situazione totalmente opposto a quello presidenziale. Fra le voci “reclutate” nel diniego c’è un rappresentante delle Forze Democratiche Siriane che è tuttora impegnato nelle due residue oasi controllate dall’Isis. La situazione in Afghanistan è potenzialmente più grave e pericolosa, mentre dovrebbe essere imminente la conclusione di un trattato di pace fra gli Usa e i talebani, senza e contro gli interessi dell’attuale governo di Kabul, considerato da Trump “democratico”.

Il capo dello spionaggio americano, Daniel Coats, ha fornito al Congresso la sua opinione secondo la quale “è improbabile che Pyongyang rinunci in qualsiasi momento alle sue armi nucleari. Dai vertici della Cia è venuta la previsione che l’Iran “non manterrà mai punti dell’accordo raggiunto con gli Stati Uniti per gli sviluppi dell’arsenale nucleare”. Anche questa opinione è condivisa dal Congresso in una forma bipartita inedita finora da quando Trump è presidente. È interessante notare che a favore del documento più critico hanno votato tra gli altri tutti i senatori che hanno già annunciato la propria decisione di candidarsi alla Casa Bianca nelle prossime elezioni del novembre dell’anno prossimo, soprattutto gli esponenti della sinistra democratica, i senatori Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Kirsten Gillibrand. La motivazione è che “siamo stati in Afghanistan per il periodo più lungo di ogni guerra nella storia americana e in Siria ci siamo stati troppo a lungo”. Il leader repubblicano del Senato, McConnell, ha concluso che “bisogna mantenere lo status quo”.