Sutop (Thriller) Capitolo 20
Leo Rasco
Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale
Any Resemblance To Real Persons Or Actual Facts Is Purely Coincidental
ore 17:32
Samuel Jackson,tecnico alla stazione di distribuzione Pepco stava controllando le decine di monitor per verificare che l'erogazione dell'elettricità nei quattro quadranti in cui era diviso il Distretto di Colombia, ovvero la capitale federale, fosse a regola.
Quella sera si sentiva appesantito, non solo per i suoi 145 chili che si portava dietro con grave pregiudizio per le sue articolazioni.
Ma anche perché tre ore prima si era strafogato un doppio cheese burger con cartoccio 'large' di patate fritte.
E si sentiva tutto ancora sullo stomaco perché non era riuscito a digerire nonostante le pasticche di Maalox che aveva masticato quantomeno per eliminare l'acidità che si scatenava regolarmente quando si abboffava di junk food. Il che succedeva sempre.
Samuel Jackson non era proprio entusiasta del suo lavoro che tre volte la settimana lo costringeva a fare anche i turni notturni.
Ma comunque, erano ormai quasi 20 anni che prendeva lo stipendio dalla Pepco e tra pochi anni sarebbe andato in pensione.
Il suono di un campanello collegato ad una sirena lo distolse dal suo letargo digestivo.
Si mise a controllare i quadranti che aveva di fronte a sé spostandosi sulla sedia che aveva delle rotelle da un capo all'altro della grande consolle.
Ormai la sirena stava ululando e notò che i diagrammi della power stavano andando a zero.
Poi, improvvisamente, anche le luci della sala dove si trovava si spensero.
Samuel Jackson sapeva che di fronte ad una massiccia interruzione nella distribuzione dell'energia elettrica sarebbero immediatamente entrati in funzione i grandi generatori diesel.
Ma il fatto che la luce di emergenza non fosse ancora rientrata in funzione confermava l'ipotesi estrema che Samuel si era fatto da qualche minuto.
Era scattato un disastroso blackout e non sapeva se questo riguardava solo Washington DC o anche gli altri Stati serviti dalla sua società.
Provò ad azionare il telefono di servizio senza successo. Idem per quanto riguardava il suo smartphone.
Samuel Jackson non sapeva cosa fare. Appoggiò i gomiti sul bancone e si strinse la testa tra le mani.
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Ore 17:32
Alessandro Scarsella, comandante di un AB 322 Super, aveva iniziato il finale e stava per atterrare sulla pista del Reagan airport, lo scalo aereo cittadino di Washington.
Gli internazionali sono invece il Foster Dulles airport in Virginia e il Baltimore International airport.
Il volo che il comandante Scarsella stava pilotando era originato a Miami e dopo una sosta tecnica di mezz'ora a Washington sarebbe ripartito per Boston.
Quella pista, pensava Alessandro Scarsella, era sicuramente la più frequentata di tutti gli scali americani. Anche Chicago niente male.
La frequenza di atterraggio al Reagan airport è intorno ai 24 secondi con condizioni di tempo accettabili.
Quel pomeriggio, una volta bucato il tetto di nuvole a 1200 m di altezza, l'aereo, che era stipato di passeggeri, stava ormai per mettere le sue ruote sulla pista le cui luci intermittenti a grande intensità indicavano ai piloti esattamente il punto di contatto.
La torre di controllo aveva già autorizzato la manovra.
Alessandro Scarsella preferiva portare lui il suo aereo a destinazione nella città in cui era cresciuto ed aveva completato i suoi studi prima di cominciare a trasmigrare da una compagnia all'altra facendo gavetta sui voli regionali. Il secondo pilota doveva pensare alle altre procedure.
Adesso, nonostante la giovane età, poteva vantare un ruolino di marcia considerevole a livello professionale. Piu' di 5000 ore di volo in sei anni.
E la sua compagnia ne aveva tenuto conto. Infatti Alessandro Scarsella era stato promosso due mesi prima comandante. Per gli americani 'captain'.
L'aereo si trovava a circa sei miglia dalla pista ed aveva iniziato il sentiero di discesa.
Alessandro Scarsella, giovane comandante di un medio jet passeggeri, stava verificando il funzionamento del computer di bordo pronto ad intervenire manualmente nel caso ve ne fosse stato bisogno.
La sua era una tranquilla attenzione confortata da una lunga esperienza di atterraggi come quello, con la sicurezza di avere al suo fianco un collega, primo pilota, di ottima professionalità.
Solo che le luci della pista sparirono completamente.
Il comandante Scarsella chiese chiarimenti alla torre di controllo che era diventata muta.
Alessandro Scarsella sapeva che stava rischiando non solo la propria pelle ma anche quella dei duecento passeggeri che aveva dietro le spalle, molti dei quali ragazzi e bambini che erano andati a Disneyland.
Veloce consultazione con il primo ufficiale, disinserimento del computer, iniziata la manovra manuale.
Lo AB322 Super toccò terra felicemente mentre la lunga fila degli altri aerei che stavano avvicinandosi allo scalo di Washington fu costretta da un repentino messaggio emanato dalla torre di controllo (che per fortuna aveva ricominciato a funzionare grazie al generatore di emergenza) a cancellare all'ultimo momento l'atterraggio risalendo in quota. Le luci della pista, infatti, non avevano riattaccato.
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Elisabetta Ferrera era riuscita a prendere la metro delle cinque e mezza per tornarsene a casa.
Quella era stata una giornata molto pesante per lei che aveva lasciato la sua abitazione alle sei del mattino per andare ad accudire una anziana cliente che abitava sulla 16ª.
E poi c'era stato il bucato della settimana, la cucina strapiena di scodelle e tazze da lavare perche' la Signora, ex moglie di un diplomatico, non si era mai sporcata le mani e tantomeno voleva farlo adesso che aveva superato gli 80 anni.
Elisabetta aveva da poco compiuti 58 anni, un matrimonio fallito con un italiano che la menava, una figlia molto bella chiamata Nadia che frequentava l'ultimo anno della high school e sembrava essere una ragazza con la testa sulle spalle.
Sperando in Dio perché queste ragazze se fanno tanto di innamorarsi perdono la testa e si slanciano nelle braccia di qualche delinquente.
Come purtroppo era successo a lei.
Elisabetta Ferrera parlava un italiano perfetto oltre allo spagnolo e all'inglese.
Era illegale negli Stati Uniti perché vi era entrata con un visto turistico di tre mesi e poi aveva fatto perdere le tracce.
Il grande vantaggio di conoscere bene l'italiano era che molte signore della colonia washingtoniana italiana la chiamavano per lavorare nei ricevimenti di cui era costellata la vita sociale nella capitale degli Stati Uniti.
Elisabetta Ferrera sapeva bene per esperienza personale che nulla è regalato nella vita.
Anche quelli che sono nati con il cucchiaio di agento in bocca hanno poi il problema di mantenere la loro ricchezza e spesso non ci riescono.
Il vagone della metropolitana nel quale aveva trovato finalmente un posto a sedere era strapieno di persone che avevano lasciato il posto di lavoro in qualche ministero o agenzia federale.
Washington DC aveva una popolazione di 600.000 persone per il 70% African Americans.
Ogni giorno si riversavano nella capitale federale almeno 400.000 persone, dalla Virginia attraverso i ponti sul Potomac che diventavano nelle ore di punta dei veri e propri colli di bottiglia. Oppure dalle contee del Maryland.
La metropolitana era essenziale come servizio perché era impensabile per la gente ordinaria prendere la macchina, farsi qualche ora di 'bumper to bumper', pagare un sacco di soldi in un garage.
La metropolitana era essenziale anche per le grandi manifestazioni di massa che si erano susseguite nei decenni passati convogliando sui prati del Mall centinaia di migliaia di persone per protestare contro qualcosa o qualcuno o per acclamare qualche presidente eletto.
Elisabetta aveva partecipato alla grande marcia delle donne che rivendicavano il diritto di esistere, di non essere maltrattate, di contare nella società civile…
Erano le 17:30 quando la metropolitana in cui si trovava Elisabetta Ferrera frenò all'improvviso mandando a finire a terra alcune persone che erano in piedi e non si erano ancorate da qualche parte.
La luce all'interno del vagone era scomparsa.
Urla di donne ferite nella caduta.
La voce del capotreno venne fuori dagli altoparlanti che funzionavano con le batterie del convoglio.
"Non allarmatevi, non fatevi prendere dal panico. Adesso ci muoveremo lentamente con i nostri mezzi sino a raggiungere la prossima stazione che si trova a 500 iarde."
Il treno della metropolitana cominciò muoversi lentamente e dopo cinque minuti entro' nella stazione di Wheaton, nota per avere la piu' lunga scala mobile dell'Emisfero Occidentale, con una lunghezza di 70 metri ed una inclinazione di 35 metri.
La voce del capotreno invitò ad aprire manualmente le porte indicando quale dispositivo doveva essere azionato.
Elisabetta Ferrera uscì insieme ad altre centinaia di persone che non poterono utilizzare la famosa scala mobile che era bloccata.
Dopo una salita faticosa di quasi dieci minuti si diresse verso l'uscita della stazione immergendosi nel caos del traffico in cui migliaia di auto a guida autonoma si erano fermate perché il GPS era sparito.
La gente terrorizzata intorno a lei si interrogava su che cosa fosse successo nella capitale degli Stati Uniti dove l'interruzione della corrente elettrica generalizzata aveva paralizzato ogni attività e servizio.
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(Nel bunker della Casa Bianca fatto un paio di decenni prima scavando sotto il giardino di fronte alla Oval Room. Nel 2011 il Washington Post e il New York Times avevano pubblicato degli articoli che parlavano della creazione di questo centro di sicurezza sotterraneo nel quale riparare il presidente in carica in presenza di situazioni di emergenza.)
E proprio nella sala principale di quel centro sotterraneo era stata convocata una riunione con la presenza dei responsabili intelligence, dello Space Command oltre ovviamente a Mark Cullinger e al vice presidente Eleonora Barberini.
"È Washington sotto schiaffo oppure altre città della Federazione?", chiese il presidente Albert Smith.
"Solo Washington, signor Presidente." Fu la risposta unanime dei presenti.
Albert Smith si rivolse a Mark Cullinger chiedendo:
"Questo blackout può essere considerato un atto di guerra? Chi ne è responsabile? "
Mark Cullinger sentiva il peso della risposta che avrebbe dovuto dare al suo boss.
"Come sempre succede in situazioni analoghe, chi lancia la pietra poi nasconde la mano. Molto facile per quanto riguarda la guerra cibernetica che ormai da 10 anni imperversa tra una sponda e l'altra dell'Atlantico e del Pacifico.
I colleghi dell'intelligence prima di questo incontro, signor Presidente, mi hanno detto che sono concordi nel ritenere che si tratti di una intimidazione compiuta dai russi dopo che gli Stati Uniti hanno aggravato il ventaglio di sanzioni sulla loro economia a seguito dell'ulteriore espansione russa nei confronti della Crimea e degli Stati del Nord Baltico."
Il presidente si rivolse al generale quattro stelle Dennis Warren, responsabile dello Space Command, il massimo comando della Forza Aerea a americana con la sua direzione a Peterson in Colorado.
Lo Space Command controlla e supporta le operazioni militari americane in tutto il mondo con satelliti ed il lancio di operazioni cyber.
"Generale Warren, ritengo che sia arrivato il momento di usare i nostri satelliti specializzati distruggendo la maggior parte dei satelliti russi… Sia data immediata esecuzione a questo ordine presidenziale, negando, per quanto riguarda i media, ogni nostra iniziativa in tale senso."