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Romano Prodi
Romano Prodi

Allarme economia: invertire la rotta prima che sia troppo tardi

I dati sull’andamento dell’economia italiana e le previsioni sul suo futuro continuano a peggiorare. Le modeste cifre relative alla crescita, che solo due mesi fa erano imputate di eccessivo pessimismo, si sono trasformate in un obiettivo quasi irraggiungibile.
La produzione industriale peggiora ed è inferiore del 5,5% rispetto ad un anno fa: si tratta della caduta più grave degli ultimi cinque anni. 
Alla crisi produttiva si affianca una diffusa crisi di fiducia, in conseguenza della quale i consumi ristagnano ed aumenta il risparmio. Il futuro è fonte di crescente preoccupazione, anche se il nostro governo mantiene le sue previsioni di una impossibile crescita. Il tutto senza tenere conto delle recenti correzioni del Fondo monetario internazionale, della Banca d’Italia, di Prometeia e, infine, della Commissione Europea, che prevede addirittura un aumento del Pil italiano dello 0,2% , cioè assai prossima allo zero. 

Già eravamo tra i fanalini di coda dello sviluppo europeo: ora siamo all’ultimo posto tra i 28 Paesi dell’Unione. Una notevole parte di questo calo viene giustamente imputata alle tensioni internazionali e al rallentamento tedesco. Tutto questo non spiega tuttavia perché Paesi che molto più di noi dipendono dall’economia germanica come la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Olanda crescano più di noi.
E altrettanto non spiega perché anche la Francia mostri dati molto più positivi dei nostri. Il peggioramento del ciclo è quindi non solo conseguenza della situazione internazionale ma, soprattutto, della politica italiana. 
Le dichiarazioni governative attribuiscono la responsabilità ai governi passati ma le cifre ci mostrano che l’allontanamento dal cammino europeo si è progressivamente accentuato nel tempo ed ha assunto il livello più preoccupante proprio nelle ultime settimane. Un governo in carica da quasi nove mesi è infatti ormai totalmente responsabile dei progressivi peggioramenti avvenuti durante il suo mandato e deve soprattutto occuparsi delle decisioni da prendere per correggere la rotta ed evitare il naufragio.
Con i dati che sono emersi è infatti impossibile raggiungere l’obiettivo programmato per il 2019 di un deficit di bilancio del 2,04%. Di conseguenza aumenterà il peso relativo del nostro debito anche perché, con uno spread intorno a 300, il peso degli interessi sarà crescente.

Alla nuda verità delle cifre si aggiungerà in futuro il danno provocato dal progressivo isolamento del nostro Paese. Sono ben note le conseguenze concrete dello sciagurato conflitto con la Francia, Paese con il quale non solo abbiamo un profondo legame economico ma un attivo della bilancia commerciale di quasi dieci miliardi di Euro. Ancora più grandi sono tuttavia le conseguenze negative nei confronti dell’immagine dell’Italia, sempre più sola in ogni assise internazionale. Siamo ormai visti con sospetto e diffidenza sia dagli Stati che costituiscono il cuore dell’Europa che dai Paesi sovranisti. Pur facendo la voce grossa contiamo sempre meno.
Per correggere la deriva negativa non basta naturalmente costruire una politica europea attiva e collaborativa ma occorre impostare una diversa politica economica nazionale. I messaggi negativi sulle decisioni prese sono ormai troppo numerosi. Il più grave di tutti è ancora la riforma del sistema pensionistico. Pur con le sue imperfezioni la legge Fornero conteneva i presupposti per il raggiungimento di un equilibrio di lungo periodo nel settore che più mette a rischio i nostri bilanci futuri. Capisco benissimo che, con la “Quota 100”, si sia ottenuto il plauso di tante persone desiderose di anticipare il momento della pensione. Tuttavia in ogni sede internazionale si continua a sottolineare l’incompatibilità di un anticipo dell’età di pensionamento con l’aumento della vita media che, fortunatamente, continua ad innalzarsi.

Allo scopo di riprendere il cammino della crescita gli esperti nazionali ed internazionali suggeriscono in modo unanime uno spostamento di risorse verso gli investimenti. Già abbiamo messo in rilievo come questo non sia avvenuto, ma oggi vediamo che si marcia addirittura in direzione opposta. Ci mancava l’assurda decisione sulle cosìddette “trivelle”, in conseguenza della quale si sta mettendo in crisi un intero settore produttivo, con l’ulteriore conseguenza che l’estrazione degli idrocarburi nell’Adriatico, a noi proibita, favorisce la medesima attività da parte della Croazia. Così come non giova certo all’immagine della nostra economia l’assalto politico alle cosìddette autorità indipendenti, a cominciare dalla Banca d’Italia. 
Quello che si poteva fare per frenare la crescita lo si è fatto e lo si continua a fare. Eppure, dal presidente del Consiglio in giù, si continua a parlare di un futuro “bellissimo”. Sarebbe altrettanto bello se si potesse discutere di questo superlativo in un approfondito dibattito nel Parlamento e nel Paese. Fino a poche settimane fa pensavo che questa necessità sarebbe arrivata con la finanziaria del prossimo autunno. Oggi penso che il problema vada affrontato subito. Prima che sia troppo tardi.